Lo sciatore “intelligente”: sci alpino e agency
Ci sono scuole di pensiero, approcci didattici nello sport, che puntano in modo deciso sull’esecuzione “perfetta” del gesto tecnico attraverso la ripetizione dell’atto motorio (approccio analitico), e altre, più globali, che propendono per un apprendimento induttivo e per prove ed errori.
Come evidente, entrambi le modalità hanno dei pro e dei contro, e se nel primo caso (approccio analitico o deduttivo) avremo tempi più rapidi di apprendimento, un’acquisizione dei fondamentali efficace, ma poco differenziata, nel secondo (approccio induttivo) avremo tempi d’apprendimento lenti, una maggiore produzione di errori, compensati però da una maggiore capacità di differenziazione e adattamento.
Sembra evidente, da questa premessa, che essendo lo sci alpino uno sport di situazione, un approccio induttivo, per prove ed errori, sia da preferirsi a un approccio in qualche modo normato, procedurale e che va dal generale al particolare.
Ora, al di là dei punti di vista, è ormai chiaro, sul piano evolutivo e delle scienze, che quando nell’ambiente insorgono elementi o eventi imprevedibili, il comportamento stereotipato non funzione.
Quello dell’atleta di sci alpino non è solamente un gesto, o un’azione motoria, ma un’azione efficace in grado di raggiungere scopi – il termine inglese agency, tradotto con il neologismo tecnico “agentività”, rende meglio l’accezione da noi utilizzata.
Per questo – e la cosa è evidente nello sport di vertice e nelle attività di gara – oltre l’automatismo, che pure va acquisito, c’è qualcosa d’altro che qualifica la performance: quando l’ambiente si ripete (sport di prestazione), allora un’organizzazione comportamentale stereotipata guidata dallo stimolo funziona benissimo; ma quando insorgono fatti nuovi e imprevedibili l’organizzazione stimolo-risposta si rivela fallimentare (cfr. Tomasello 2023).
Se non abituo l’atleta a pensare, scegliere e “sentire”, anche sul piano motorio, le soluzioni più idonee in funzione del contesto e finanche della frazione di gara, limito la possibilità di successo dell’azione come agency, costringendolo a muoversi in una zona certamente nota, ma non sempre utile. In altri termini rischio che di fronte ad un imprevisto egli attinga dal suo bagaglio motorio, tecnico e tattico soluzioni predefinite, o codificate in modo rigido, che potrebbero risultare inefficaci per la gara o la frazione di gara.
D’altra parte però, lavorare per rendere il gesto tecnico abituale ed automatico riduce il dispendio energetico, fisico e mentale, e libera l’attenzione che, in questo modo, potrà direzionarsi dove necessario. Un po’ come quando impariamo a guidare: all’inizio dobbiamo pensare a cambiare la marcia, premere il pedale giusto, ecc., col tempo tali gesti diventano automatici ed inconsapevoli e la nostra attenzione si libera e si rende disponibile per la sicurezza stradale, la direzione, ecc.
Nello sci potremmo tradurre questo esempio riferendoci a una sorta di controllo orientato, dove l’automatismo del gesto e la padronanza dell’attrezzo, altra fondamentale variabile, permettono all’atleta di spostare l’attenzione sulle linee, sulle caratteristiche del terreno, su eventuali segni ecc.
È evidente quindi, che da un lato è necessario lavorare affinché l’atleta faccia propri determinati automatismi tecnici e motori, dall’altro lato diventa fondamentale abituare l’atleta, anche evoluto, a pensare, scegliere, decidere, improvvisare con cognizione di causa affinché trovi la soluzione più efficace a seconda della situazione.
Potremmo sintetizzare dicendo che gli automatismi sono a servizio dell’azione pensata o agency, e che l’azione pensata dà un perché agli automatismi, rendendoli intelligenti.
Talento e “azione intelligente”
Il tema dell’agentività umana è un tema cardine per lo sviluppo personale e, nello specifico, per la crescita e la “messa a punto” dell’atleta di sci alpino.
Cosa differenzia un atleta dall’altro?
A differenziare gli atleti, oltre al talento, alla dotazione genetica, alla quantità e qualità dell’impegno e ad altri fattori, è appunto la capacità di produrre risposte efficaci, organizzate e non casuali, in situazione di difficoltà.
Il discorso sul talento è un discorso controverso, che però abbiamo trattato nel precedente articolo su questa stessa rivista (titolato Il talento nello sci alpino, tra realtà e mito), e che si colloca al divario tra ciò che sappiamo fare, e ciò che proviamo a fare: è quello infatti il punto di decollo del nostro talento.
Sono le esperienze di soglia tra ciò che sappiamo fare e ciò che proviamo a fare, che ci costringono a rallentare, a provare soluzioni, a fare errori e a correggerci, a ridefinire scenari, opportunità, obiettivi, a misurare la portata e i limiti della nostre dotazioni.
Torniamo a ciò che differenzia un’atleta dall’altro in termini di talento e risposte all’ambiente, in termini di talento e azione (agency).
– un talento ben nutrito e coltivato, unito a un alto livello di agentività, collocano l’atleta nel quadrante degli innovatori, dei rivoluzionari;
– un talento ben nutrito e coltivato, unito a un basso livello di agentività, collocano l’atleta nel quadrante infernale (quasi un limbo) delle promesse;
– un talento poco curato o maltrattato (nel senso di male-trattato), unito a un basso livello di agentività, espone l’atleta all’inefficacia e lo colloca nelle retrovie;
– mentre un talento di cui non sempre ci prendiamo sufficientemente cura – magari anche vessato di tanto in tanto o sminuito – unito però a un alto livello di agentività, fa del nostro atleta un intraprendente, capace di stupire, un outsider.
Come anticipato, con agentività umana (human agency, Bandura) s’intende la capacità dell’essere umano di agire attivamente e in maniera trasformativa, nel e sul contesto in cui è inserito; a livello operativo, l’agentività si traduce nella facoltà di generare azioni mirate a determinati scopi.
Ora, se assumiamo questo costrutto, l’ambiente, o la dotazione biologica, può sì influire sul talento, o sulla biografia di una persona, ma non determinarla.
Sono capisaldi dell’agentività umana e della capacità di un atleta di agire comportamenti organizzati in situazione di difficoltà: l’intenzionalità (abilità strategiche); l’estensione temporale (visione e pensabilità positiva); l’autoregolazione (ambito valoriale e convinzioni); la consapevolezza dei propri agiti (l’autocoscienza); il senso di autoefficacia.
Intenzionalità (piano d’azione e strategie di realizzazione), pensabilità positiva (immaginare uno o più futuri possibili, definire obiettivi realistici ma sfidanti, fare ipotesi di risultato ecc.), estendere temporalmente le nostre azioni e quindi perseverare, adottare standard personali che aumentino il nostro senso di valore e astenerci da atteggiamenti e abitudini che provochino in noi autosvalutazione (autoregolazione), convinzione di poter esercitare influenza sugli eventi oautoefficacia, sono qualità che si allenano e che unite al talento, determinano la differenza tra outsider e atleta vincente.
È ingenuo e fuorviante credere che le caratteristiche dell’atleta fuori dal tracciato non incidano sui risultati, o sull’andamento di una stagione. Credo Henry Ford abbia detto: Che tu creda di farcela o no, avrai comunque ragione.
Se l’autostima di un atleta, come giovane uomo o ragazza è basso, il suo senso di autoefficacia sarà soggetto ad oscillazioni che, in pista e sugli sci, produrranno, in modo direttamente proporzionale, risultati alterni.
Gli studi di Bandura hanno infatti dimostrato che persone con un senso di autoefficacia basso si producono continuamente in pensieri in qualche modo auto-debilitanti e svalutanti, e in conseguenti azioni di auto-sabotaggio.
Nota conclusiva
E se la mia forma mentis, il mio modo di affrontare difficoltà inedite, la mia educazione e il mio contesto familiare, sociale, rendono difficoltoso l’utilizzo di un pensiero flessibile, divergente?
Se sono uno che ha bisogno di essere guidato e di capire da altri, prima di generare risposte originali a difficoltà ambientali o d’altra natura?
Allora fai qualcosa di diverso dal solito: fai il contrario di quello che faresti. Metti in dubbio assetti (anche relazionali, affettivi), o aspetti, che generalmente dai per certi; metti fiducia dove sei abituato o abituata a reagire con diffidenza.
Guardare le cose da prospettive opposte e contrarie, aiuta ad allenare la nostra abilità nel generare alternative possibili e anche questo, alla fine, è un ottimo esercizio per risvegliare la propria agentività.
Se invece da sola, o da solo, ci hai già provato e hai capito di aver bisogno di un aiuto, allora… chiedi aiuto! Individua altri profili professionali, altre prospettive di ragionamento: cerca dove in genere non guardi.
Ricondurre ogni difficoltà o errore, anche ostinato, a un problema tecnico, può risultare non solo insufficiente, non risolutivo, ma regressivo per l’atleta. Un cambio di prospettiva, un focus diverso dall’usuale, può invece sbloccare situazioni complesse e generare comportamenti, azioni, anche motorie, capaci di produrre l’effetto desiderato e il risultato sperato.
Enrico Clementi enricoclementi017@gmail.com