L’allenamento mentale nello sci alpino secondo Claudio Ravetto
Con questo articolo iniziamo una serie di interviste che, periodicamente, offriranno al lettore visioni e spunti riguardanti il mentale nello sci alpino, secondo la prospettiva di allenatori, maestri, istruttori di “chiara fama” attivi nel settore. La protagonista della prima è l’ex capo allenatore della nazionale azzurra Claudio Ravetto.
Le interviste saranno condotte da Enrico Clementi, nostro collaboratore, che sta presentando, in una serie di articoli ai quali rimandiamo https://www.scimagazine.it/?s=enrico+clementi il suo punto di vista e il suo approccio metodologico su questa materia.
Abbiamo capito che il suo lavoro di mental coaching o di training mentale, principalmente rivolto alle categorie giovanili e ad atleti che tentano la via del professionismo, è ”più educativo che psicologico”; ovvero, più attento a trasferire una serie di competenze riguardanti il modo di essere e di comportarsi dell’atleta in contesto, che non una serie di tecniche finalizzate al miglioramento della prestazione sportiva in termini di risultato.
Senza disattendere quest’ultimo aspetto, infatti, Clementi ritiene che è più utile lavorare sui processi interni dell’atleta, sulla sua identità, che su tecniche specifiche finalizzate a sviluppare abilità particolari – partendo dall’ipotesi (costruttivista) che l’identità personale è costruita attivamente dal soggetto stesso.
Sarà interessante a questo punto capire il punto di vista dei tecnici che operano a stretto contatto con atleti anche d’élite, esplorando le loro esigenze e il modo in cui concepiscono il mentale; ovvero il modo in cui lo adottano nel loro lavoro e lo trattano, a partire però dalle problematiche tecniche che caratterizzano la disciplina.
In che modo concepisci il “mentale” nel tuo lavoro e in che modo ne tieni conto?
Mi sembra quasi “assurda” questa domanda… Nel senso che il mentale è intrinseco in qualsiasi attività di tipo agonistico e a maggior ragione in uno sport così tecnico come lo sci alpino. Inoltre c’è l’aspetto relazionale da considerare, essendo lo sci alpino uno sport individuale, ma che in genere viene svolto in gruppo o in squadra. Non ultimo è mia convinzione che l’allenatore sia un educatore, quindi è intrinseco lavorare sia su me stesso come persona (non credo di essere oggi, nel mio modo di essere e di fare, quello che ero un anno o dieci annifa!), che sulle competenze trasversali degli atleti con i quali lavoro.
Ritieni che i tuoi modi di fare e di essere, con l’atleta, condizionino questa dimensione? Ovvero, utilizzi in modo intenzionale modalità comunicative che incidono sulle risposte dell’atleta?
Assolutamente sì. Nel tempo – come dicevo – ho modificato il mio modo di essere e di fare. Se all’inizio avevo un approccio “condizionante”, ossia avevo la tendenza a rendermi in qualche modo “indispensabile” (alcuni ex atleti di coppa nel tempo mi hanno dato questo feedback con frasi del tipo: “te mi dicevi di fare una certa cosa e io la facevo!”), con il tempo ho cercato di lavorare di più alle autonomie degli atleti: il mio ruolo non è quello di indicare delle strade precise, ma di suggerire direzioni in relazione ad obiettivi. Rispetto agli obiettivi, viceversa, penso che questi debbano essere assolutamente chiari e su questo punto continuo ad essere “duro” con chi non esprime determinazione… per capirci, l’atleta che “si accontenta”.
Nelle tue esperienze di lavoro con mental coach o psicologi dello sport, cosa ritieni abbai funzionato?
Ho avuto una collaborazione per molti anni con Beppe Vercelli e prima, nelle categorie giovanili, con Sergio Rota e mi hanno aiutato non solo con gli atleti, ma anche personalmente. Tu, loro, avete delle competenze sul piano mentale, che un allenatore non può avere; voi, viceversa, avete uno sguardo sulle cose che mi aiuta a cambiare prospettiva su aspetti che, altrimenti, vedrei in maniera sclerotizzata e univoco. Le cose però hanno funzionato solamente quando il progetto era comune, ovvero quando c’erano tempi e spazi di progettazione comune dialogo; viceversa il lavoro ha mostrato chiari limiti, là dove ognuno andava per propria strada. Fondamentalmente, da ultimo, deve esserci un “regista”, uno che tiene le fila del lavoro (sia mentale che atletico) che, in genere, è l’allenatore o il DT.
Cosa ti saresti aspettato, di più o di meglio, come tecnico, da un supporto di questo genere?
Questo aspetto è stato a volte fonte di discussione con psicologi o mental coach, in genere abituati a lavorare sul “disagio” o sui limiti della persona. Nell’alto livello si lavora invece con persone – si passi il termine – “iperdotate”; quindi l’apporto di psicologi e mental coach dovrebbe essere in grado di potenziare ulteriormente soggetti con queste caratteristiche. Inoltre, come allenatore, affronto problematiche specifiche di tipo tecnico e mi aspetterei, in alcuni casi, un sostegno in questo senso: difficilmente chi non viene da questo mondo e ha fatto attività agonistica può capire cosa significhi scendere in un tracciato con certe condizioni di visibilità, su pendii e fondi a volte “ai limiti”, a velocità elevate ecc. Apprezzo molto infatti che te svolga il tuo lavoro non in uno studio, o comunque non solo in un setting neutro, ma in campo e con gli sci ai piedi!
Cosa ne pensi di una “alfabetizzazione” delle categorie giovanili su tematiche riguardanti il mentale, in vista del passaggio al professionismo? (Non solo come atleti, ma come maestri o allenatori di domani)
A livello giovanile c’è l’imprinting vero! Quindi che dire… certamente è fondamentale un lavoro diffuso di questo genere, per la formazione a 360° del futuro atleta o professionista della nave. In questo il ruolo dell’allenatore è o sarebbe determinante: un allenatore nelle categorie giovanili deve far nascere passioni! Da qui la sua importanza. Mentre un allenatore nello sport di vertice deve puntare all’eccellenza assoluta, direi senza mezzi termini o sconti, nelle categorie giovanili la risposta deve essere più articolata e differenziata, puntando alla crescita non solo o non tanto agonistica degli atleti, ma relazionale-sociale e umana.
Pensi che i tempi siano maturi nel settore, a livello professionale e umano, per avviare uno scambio, dei ragionamenti, dei progetti con i tecnici e la dirigenza che vadano in questa direzione?
Certamente! Ultimamente dappertutto non si fa che parlare di “mentale”! Per cui va sfruttata questa opportunità… però senza banalizzare! Trovo infatti che una certa retorica oggi diffusa (le frasi più o meno galvanizzanti messe lì sui social dall’uno o dall’altro allenatore ne sono un esempio) sia riduttiva e fuorviante. Un approccio invece serio, integrato,con chiari presupposti educativi, sarebbe auspicabile. Inoltre dipende dall’approccio: alcuni approcci sono finalizzati al raggiungimento “a tutti i costi” di un obiettivo, che – come dicevamo sopra – è molto diverso dal parlare di sport come formazione; se nel primo caso si lavora (con tutti i rischi del caso!) a formare un ego “granitico”, negli altri casi si lavora sull’acquisizione di altri tipi di competenze…
Saresti disposto a mettere in discussione le tue convinzioni, i tuoi punti di vista e quindi anche alcune pratiche (modi di allenare/concepire l’allenamento e di comunicare), in funzione di strategie di crescita dell’atleta diversamente orientate? Mi riferisco qui, appunto, come dicevamo, al versante più educativo.
Mi fermo alla prima frase: io sono sempre “disposto”. Riconosco le mie difficoltà, i miei limiti (spesso sono brusco, voglio avere ragione, sono “assolutista”, netto nelle scelte ecc.) ma mi ritengo sempre disposto al confronto e ad ascoltare. Per cui sì assolutamente disposto a mettere in discussione me stesso e il mio modo di fare, ferme restando delle buone argomentazioni. Detto questo però, sono anche assolutamente disposto a difendere le mie ragioni e il mio mondo! Difenderle da chi? Da persone che pensano di “saperla lunga”: ho ancora molte cose da dire e da fare (nonostante a volte mi dica stanco di questo mondo!) ed è una mia deformazione quella di “guardare avanti”…
Scusami però se riprendo un punto, quello comunicativo – visto che ho detto di aver cambiato approccio con gli atleti. Volevo dire in che seno, nella pratica, ho cambiato approccio: in passato ho usato molto il verbale, oggi, da consulente, mi piace invece stare sul campo e “parlare di meno”. Non che le parole non siano importanti (più il modo di dirle! Il “come”), ma ho trovato delle strategie, degli “esercizi”, in grado di far sentire e interiorizzare all’atleta quello che ho in mente. La comunicazione nello sci mi sembra che oggi percorra più la via sensoriale (toccare, spingere, tirare, opporre forze ecc.), che, come in passato, nozionistica o comunicativa verbale.
Ritieni che uno spostamento della formazione dalle figure tecniche (attualmente, in specie nelle categorie giovanili, lo psicologo dello sport o il mental coach si interfacciano prevalentemente con lo staff tecnico e lavorano con l’atleta solo là dove c’è un bisogno conclamato) all’atleta, possa essere costruttivo in questo senso? Quindi anche la presenza sul campo di una figura terza rispetto a quella dell’allenatore (mental coach), che fornisca spunti, informazioni, pratiche orientate diversamente.
Da quanto fin qui detto spero emerga la risposta, assolutamente positiva: deve esserci integrazione tra figure professionali con competenze diverse, dialogo, collaborazione, sinergia, scambio… non deve esserci solo per risolvere problematiche (si rischia in questo modo di “arrivare lunghi” sui problemi), ma per far crescere la persona. Non secondario il fatto che il nostro è uno sport che si fa a velocità “folli”, “nudi” (in tutina da gara), passando degli ostacoli, su pendenze importanti… per cui l’aspetto emotivo, mentale, caratteriale, in questo gioca un ruolo forte, che certamente l’allenatore da sé solo non può ottimizzare e risolvere.
Intervista a cura di: Enrico Clementi – Educatore, Formatore, Consulente e Trainer educativo https://enricoclementi.it/
Autore de: L’allenamento mentale nello sci alpino. Prospettive e strumenti dal mondo dell’educazione (BMS, 2020) http://www.bmsitaly.com/prodotto/allenamento-mentale-nello-sci-alpino/
Per info, contatti, attività formative e di orientamento: enricoclementi017@gmail.com