La zona di comfort: cos’è e come collocarla
Un aspetto molto frequente da gestire, sia sul piano personale (come sciatori), che per maestri e allenatori, è quello della “zona di comfort”.
Il termine fa riferimento sia a una dimensione interiore, nella quale ci sentiamo bene con noi stessi, sia a una dimensione esterna, ambientale, relazionale-sociale, nella quale, del pari, ci sentiamo “comodi”, a nostro agio.
È dunque un aspetto che non attiene solamente alla dimensione sportiva, ma che riguarda la vita di tutti giorni e regola quella serie di comportamenti, di scelte, di convinzioni che in qualche modo ci caratterizzano nella nostra individualità.
Sento a volte che in ambiente sportivo, in specie agonistico, gli allenatori non apprezzano che l’atleta tenda a esprimersi, sul piano sia tecnico che tattico, rimanendo all’interno della propria zona di comfort, ampia o meno che sia.
Se da un lato questo è comprensibile e, come vedremo, è non solo appropriato ma indispensabile allontanarsi da questa zona per esperire nuove sensazioni e ampliare il bagaglio di competenze, dall’altro va anche detto che la zona di comfort personale è indispensabile da conoscere, valorizzare, ampliare; questo perché essa fornisce uno stato di sicurezza mentale e benessere emotivo che sono alla base dell’apprendimento, come pure alla base di nuove ricerche e sperimentazioni.
Diciamo che la zona di comfort, quindi, è sia un punto di partenza (il “porto” dell’epigrafe in apertura), che un punto d’arrivo, dove torniamo per bilanciare il carico emotivo e sovente la frustrazione che la sperimentazione di nuovi adattamenti comporta.
Ovviamente in questo modo la zona di comfort si allarga gradualmente, ma si rafforza del pari la nostra struttura di personalità, il nostro carattere; implicando l’acquisizione del nuovo, immancabilmente, l’insuccesso e l’errore, così difficili da accogliere e collocare.
Nel mio manuale sull’allenamento mentale nello sci alpino ho indicato l’errore, sul piano degli apprendimenti (e lo sci è un apprendimento), come:
– Normale, perché parte ordinaria dell’esperienza e dell’attività umana;
– Positivo, perché con la sua incidenza permette di far giungere il soggetto a conoscenze più prossime al successo dell’azione;
– Utile, perché lo mette in condizioni d’imparare, svincolandolo da idee e convinzioni pregresse.
Abbiamo quindi alcuni punti fermi sulla zona di comfort, che a questo punto ci permettono di comprenderla in modo più chiaro, sia in termini di positività (equilibrio tra carichi di frustrazione e gratificazione), che di rischi connessi alla stagnazione in quel che pensiamo di “saper fare bene”.
Credo evidente e senza bisogno di aggiunte la rilevanza di questo discorso per l’attività sciistica, sia essa amatoriale, che agonistica; a maggior ragione credo essere rilevante questo discorso per maestri e allenatori, in specie là dove la tendenza dovesse essere quella di forzare costantemente le zone di comfort di un allievo o dell’atleta.
Per sviluppare nuove competenze dobbiamo “uscire” da quello che sappiamo fare, espandendo così la nostra zona di comfort e valutando altresì, sul piano mentale, se il cambiamento è un pericolo o un’opportunità.
Un’espressione che bene sintetizza quanto stiamo dicendo e che utilizzo spesso in formazione è questa: il disagio temporaneo porta a un miglioramento permanente. Ovvero: il sacrificio del mio benessere attuale, promuove una serie di acquisizioni che a loro volta stabilizzano e aumentano la cognizione di quel che so e faccio.
Questa è una delle sfide di chi lavora in ambiente sportivo (ma più in genere educativo), ovvero essere alleati della persona in apprendimento, dell’amatore come dell’atleta, ma degli alleati in qualche modo “scomodi” e che in modo equilibrato a volte dicono quel che l’altro non vorrebbe sentirsi dire, mettono in evidenza quel che l’altro non vorrebbe vedere, conducono fattivamente là dove l’altro non vorrebbe andare.
Paradossalmente, quando si inizia un percorso di mental training o di coaching mentale, le cose, invece di migliorare, sembrano peggiorare. Questo è un buon segnale e significa che il lavoro sta evolvendo nel modo giusto, creando la giusta dose di disequilibrio che preannuncia la comparsa di nuovi assetti e abilità.
È compito di ogni tecnico, sia esso maestro, allenatore o figura educativa di supporto agli staff, accompagnare questo processo e sostenere la gestione di quelle “crisi” funzionali all’emergere di nuovi equilibri, assetti, strategie.
Enrico Clementi – Educatore, Formatore, Consulente e Trainer educativo
Autore de: L’allenamento mentale nello sci alpino. Prospettive e strumenti dal mondo dell’educazione (BMS, 2020) http://www.bmsitaly.com/prodotto/allenamento-mentale-nello-sci-alpino/
Per info, contatti, attività formative e di orientamento: enricoclementi017@gmail.com