Il valore pedagogico della sconfitta nello sci alpino
Il vincitore, non sa quello che perde!
Ho sottolineato più volte, nel corso dei nostri appuntamenti dedicati al mentale nello sci alpino, che il mio approccio a questa sfera – essendo io un educatore – è “più educativo che psicologico”.
Quello che faccio, con le categorie giovanili in particolare, ma anche con gli adulti, è premurarmi, prima ancora di pensare al fine del lavoro da svolgere, ovvero all’ottimizzazione della prestazione sportiva, che gli stessi abbiano un background conoscitivo e umano attendibile.
Se dovessimo rappresentarci la prestazione umana, infatti (troppo spesso omettiamo, parlando di prestazione, il termine che la connota come “umana”!), essa è la risultante non solo di risorse tecniche, ma di risorse tecniche X risorse umane, fratto metodo (Vercelli):
PRESTAZIONE = RISORSE TECNICHE X RISORSE UMANE
METODO
Faccio allora, in modo preliminare, un lavoro che chiamo di “alfabetizzazione”; che non è solo di tipo nozionistico, ma che è orientato a rendere accessibili i meccanismo mentali a giovani che, come tutti gli altri, vedono definiti i loro obiettivi dal contesto esterno (scuola, genitori, allenatori, su indirizzo federale) e dal fatto di seguire un percorso in qualche modo standardizzato.
Poi arriva un punto, nella vita, in cui gli obiettivi sono da determinare in modo autonomo e nessuno, in genere, ci abitua a fare questo. La differenza, in termini risultati, è data proprio da questa abilità. È una sorta di “vantaggio competitivo” che alcuni non hanno, altri, per istinto o educazione, hanno.
Il mio lavoro con le categorie giovanili ha lo scopo di abituare i ragazzi alle autonomie, a conoscere ed “armeggiare” con queste abilità assolutamente trasversali e strategiche – utili nello sport, ma anche a scuola, nelle relazioni sociali, nella vita affettiva ecc.
L’obiettivo quindi, è quello di passare, nello sport in genere e nello sci alpino in particolare, da una dimensione molto più educativa che competitiva, molto più pedagogica (il significato etimologico di questa parola coniuga il “procreare”, il “dare alla luce” e il guidare, il condurre, l’accompagnare nel processo di crescita) che agonistica.
Ho già detto in vari articoli che il modo in cui faccio questo, a partire dall’osservazione sul campo (in pista e fuori dalla pista), è cercare di fornire “soluzioni”, risposte, che abbiano un solo requisito, quello della concretezza; ovvero siano in grado di generare sentimenti, immagini mentali, finestre di conoscenza, corridoi d’accesso – assolutamente soggettivi – alle informazioni date.
Siano in grado, in altri termini, di generare competenze, visione e autonomia.
Tornando per un istante alla nostra rappresentazione grafica della prestazione, è importante non confondere la tecnica con il metodo; essendo la prima il risultato complesso della riflessione sul metodo (comprende teoria e metodo), mentre il secondo (il metodo) è un insieme di elementi che permette di approcciare il discorso tecnico.
È appunto il metodo che deve essere “semplice”, concreto, trasmissibile.
Credo che su questo punto anche il discorso prettamente tecnico, ossia il modo in cui maestri e allenatori veicolano informazioni ad allievi e atleti, debba essere ripensato in termini non solo di efficacia (raggiungimento dell’obiettivo), ma di efficienza, ovvero di economicità.
Ma andiamo al nostro titolo, in che senso la sconfitta, per l’atleta, ha o può avere un significato pedagogico positivo? Una suo valore e una sua forza propulsiva?
Nel senso che essa, come l’errore, è in qualche modo:
- Normale, perché inevitabile (prima o poi ogni atleta, anche il più dotato, dovrò fare i conti con la sconfitta, con il fallimento, con l’esperienza di “non essere all’altezza” di gestire un compito),
- Positiva, perché con la sua incidenza permette al soggetto di giungere a conoscenze più prossime al successo dell’azione,
- Utile, perché lo mette in condizione di imparare dagli errori e rafforzare il suo sistema valoriale e motivazionale.
Il termine tecnico è “resiliente”, ossia capace di “resistere agli urti” e affrontare/superare un evento traumatico o avverso.
La sconfitta in questo senso è non solo un “banco di prova” (è in questo momento che si fanno valutazioni su sé, in termini di carattere e competenze acquisite), ma anche un’opportunità per capirne il motivo; in specie quando si è fatto il meglio di quello che si poteva fare per vincere o ottenere un risultato!
Capire il motivo del fallimento, quindi, e non accontentarsi di trovare alibi o scuse, anche se fondate.
È proprio un cambio di paradigma quello che porta dalla giustificazione, dall’esternare disappunto o cercare sponde esterne per esprimere verbalmente un vissuto negativo (un genitore, l’allenatore o altri), al rimanere in contatto con quello stesso vissuto e provare a imparare qualche cosa di nuovo da esso.
Inoltre, domandarsi come imparare dalla sconfitta, come imparare qualche cosa dalla frustrazione che un risultato o una prova deludenti portano con sé; ovvero come trasformare un fatto avverso, in opportunità di crescita e cambiamento.
Lavorando nell’ottica del coaching, ovvero di un processo mentale che ci permette di andare da un punto A ad un altro B o C, l’obiettivo è quello di trasformare l’ostacolo in una risorsa, in una forza propulsiva, nell’ottica di quella che alcuni (Vercelli et al.) chiamano “antifragilità”.
Enrico Clementi – Educatore, Formatore, Consulente e Trainer educativo https://enricoclementi.it/
Autore de: L’allenamento mentale nello sci alpino. Prospettive e strumenti dal mondo dell’educazione (BMS, 2020) http://www.bmsitaly.com/prodotto/allenamento-mentale-nello-sci-alpino/
Per info, contatti, attività formative e di orientamento: enricoclementi017@gmail.com