Il mentale nelle categorie “minori”: orientamenti pratici ed esperienze con Pulcini e Children
Il progetto di ideare e strutturare un percorso di alfabetizzazione emotiva con Baby e Cuccioli (dai 7-8 anni ai 12-13), origina da un lavoro analogo svolto con Ragazzi (U 14), Allievi(U 16), Aspiranti (U 18) e Giovani (U 21).
Ho svolto questo lavoro sia in contesti formali (istituti scolastici ad indirizzo sportivo: sport di montagna), che non-formali (sci club, comitati, gruppi agonistici e sportivi), ma anche a carattere formativo e di consulenza: l’esperienza è documentata nel mio: L’allenamento mentale nello sci alpino. Prospettive e strumenti dal mondo dell’educazione (BMS, 2020) http://www.bmsitaly.com/prodotto/allenamento-mentale-nello-sci-alpino/
Oltre al lavoro sul campo, l’attività parallela di studio, divulgazione, ricerca – attività finalizzata a rendere più evidenti le relazioni tra teoria e prassi, tra crescita personale e prestazione – ha rafforzato la convinzione che l’avvio precoce di un discorso sul mentale nello sci alpino sia di grande importanza; così come sono importanti l’approccio all’ambiente montano per i piccolissimi (0-6 anni), i fondamentali dello sci (6-9 anni) e le pratiche d’allenamento, la competizione, nelle età successive.
Se rispetto alle competenze specifiche dei più piccoli c’è una relativa coerenza tra modello prestativo federale (S.A.L.T.) e sistema gare, e se questo stesso modello ha un suo riscontro nel riconoscere/valorizzare le fasi sensibili dell’apprendimento motorio (7-13 anni), la componente mentale è pressoché ignorata.
È vero, come a volte si afferma, che la pratica sportiva e l’agonismo allenano, indirettamente, abilità cognitive, emotive e forniscono strumenti di crescita personale, ma è altrettanto vero che così facendo il processo di crescita stesso è demandato a se stesso, con tutti i rischi e le difficoltà che questo comporta.
Se la componente mentale “fa la differenza” nell’agonismo in genere e nello sport di vertice in particolare, questa componente, al pari delle abilità specifiche e di quelle motorie, va programmata, conosciuta, riconosciuta, allenata.
Solo in questo modo potremo davvero sapere se un giovane, nella sua maturità agonistica, ha espresso o non espresso il suo potenziale; se non evitando, quanto meno contenendo la possibilità che fattori storici personali, dinamiche di contesto, carichi di responsabilità, ne minino le fondamenta.
Lo sci alpino e l’attività agonistica sono, date le molte variabili intervenienti, attività stressogene; e il punto non è evitare lo stress, ma, investendo sulla dimensione di senso, vivere bene sotto stress.
Esiste cioè uno stress salutogenico (Magrin et al., 2006), a patto che la persona abbia sviluppato un orientamento globale, un “senso di coerenza” (Sense of Coherence) in cui ha un pervasivo, duraturo, ma dinamico sentimento di confidenza con risorse, stimoli, richieste, che vanno conosciute, riconosciute, lavorate in modo sistematico e ricorsivo.
La “teca di cristallo”: da sé ad altri e dal contesto alle emozioni
Date queste premesse, è evidente che le attività con le categorie Baby e Cuccioli, saranno dimensionate alle caratteristiche dei piccoli per intensità, linguaggio, attività, ambienti educativi ecc.. Ma l’orientamento, il fine, è comunque quello di fornire loro – non diversamente da quanto facciamo con i più grandi – strumenti che facilitino il processo di crescita; che contribuiscano, in modo variabile, a strutturare in loro quel senso di coerenza, quel sentimento di confidenza che (Cfr. Stefano Gheno: La formazione generativa. Un nuovo approccio all’apprendimento e al benessere delle persone e delle organizzazioni, 2010):
– gli stimoli provenienti dall’ambiente interno ed esterno siano strutturati, in qualche modo prevedibili, spiegabili;
– le risorse per fronteggiare efficacemente le richieste poste dall’ambiente siano disponibili ed accessibili;
– le richieste poste dall’ambiente siano dotate di significato e per questo sfide ricche d’impegno e di coinvolgimento.
Quanto più i piccoli percepiranno una direzione nel loro agire, una certa misura di controllo sul reale, tanto più potranno vivere bene le loro esperienze, ma anche i propri errori. Così la dimensione di senso – come ci ricorda Gheno (La formazione generativa., cit.) – diventa un fattore fondamentale nello sviluppo di resilienza.
Saranno allora giochi di ruolo, attività ludiche, brevi incontri frontali, follow-up in situazioni informali, scambi frequenti e alleanze educative con genitori, allenatori, dirigenti, che permettono di (ri)definire e tarare obiettivi e metodo.
È strategico che i piccoli non vengano “tagliati fuori” e partecipino anche alle attività degli adulti che li riguardano, proprio perché il nostro obiettivo è quello di trasferire loro capacità di lettura, di previsione, di orientamento e gestione dei contenuti o, detto diversamente, abilità metacognitive.
Come se il lavoro con i piccoli, ma anche nel passaggio alle categorie superiori, dovesse essere svolto, per le ragioni anzidette e in vista delle autonomie, in uno spazio virtuale trasparente, attraverso il quale poter guardare nelle due direzioni: dall’interno verso l’esterno (da sé ad altri e da sé al contesto), e dall’esterno all’interno (dal contesto ai propri vissuti, pensieri, emozioni).
Obiettivi e metodo
Per maggiore chiarezza precisiamo che per sviluppo positivo delle risorse personali intendiamo:
– lo sviluppo delle caratteristiche personali in senso stretto: percezione di sé e dei propri bisogni/desideri, pensabilità positiva, autostima e autoefficacia percepita.
– Lo sviluppo dell’intelligenza emotiva (capacità introspettive, di lettura delle proprie emozioni, in relazione a stati d’animo o variabili ambientali); la capacità di riconoscere in sé e negli altri, nominandole, delle emozioni di base e secondarie o complesse; intelligenza interpersonale, empatia; capacità di leggere e modulare le proprie risposte adattive (comportamenti) e di modificarle (responsabilità); capacità di individuare obiettivi, strategie, tempistiche e valutazione delle risorse (abilità di negoziazione); uso delle abilità acquisite
– Lo sviluppo della creatività (pensiero divergente e problem solving), attraverso attività che prevedono l’uso di linguaggi verbali e non-verbali, modulati in relazione al contesto (corpo-parola, gesto-colore e simili); attraverso soluzioni e sperimentazioni personali.
– Lo sviluppo dell’intelligenza corporeo-cinestesica, attraverso attività complesse e che prevedono l’utilizzo di informazioni e segnali coerenti o “di disturbo”;
– Lo sviluppo delle competenze individuali su vari ambiti di attività e linguaggio: corporeo, rappresentativo, plastico, verbale e altri.
La metodologia è attiva, esperienziale e con attività ludiche e di tipo pratico, che integrano e rafforzano quelle usuali di tipo motorio, e specifiche (nevicità, fondamentali dello sci, approccio alle attività di allenamento e alla competizione).
C’è inoltre una integrazione e rielaborazione personale, sperimentata e da sperimentare, che implementa approcci psicosociali e comunitari come il self-empowerment, la programmazione neuro-linguistica, la globalità dei linguaggi, le forme di rappresentazione e gioco (Teatro-Gioco), esperienze di movimento simbolico-creativo, le tecniche di visualizzazione e altre tecniche psicosomatiche e meditative:
– Intelligenza emotiva & PNL
– Allenamento emotivo & globalità dei linguaggi
– TeatroGico e altre tecniche di rappresentazione e simbolizzazione
– Intelligenza emotiva & tecniche di visualizzazione, o altre introspettive
– Intelligenza emotiva & tecniche psicosomatiche adattate
– Intelligenza emotiva & approccio ecologico-ambientale
– […]
L’adulto “emotivamente intelligente”
Un riferimento conclusivo lo facciamo allo strumento più importante della nostra proposta, che è l’adulto emotivamente intelligente, sia egli genitore, allenatore, mental coach o altra figura con funzioni educative negli sci club.
Lo facciamo parafrasando Goleman (1996), che è il padre della teoria delle intelligenze multiple, ossia della differenziazione dell’intelligenza umana in modalità operative specifiche dell’intelligenza, piuttosto che come unica capacità generale.
Che ci sia o meno un progetto, delle sezioni periodiche, un modulo esplicitamente dedicato all’alfabetizzazione emotiva nelle categorie giovanili, può essere molto meno importante del modo in cui questi incontri vengono svolti.
Il modo in cui infatti un allenatore, un mental coach, gestisce le relazioni e il gruppo, è in se stesso un modello, una lezione di fatto, di competenza emozionale o della sua mancanza.
Ogni atteggiamento di una figura educativa nei confronti di un giovane atleta, è un’informazione che rimbalza ad un numero variabile di altri atleti.
Non tutte le figure di tecnico che abbiano funzioni educative, sono, di fatto, profilate o formate per curare questo particolare aspetto; poiché è necessario sentirsi a proprio agio nel comunicare le emozioni, e non tutti lo sono, né vogliono esserlo.
Enrico Clementi enricoclementi@gmail.com