Giovani, educazione, sport: stato dell’arte, riflessioni e modelli d’integrazione e sviluppo
Con piacere e interesse pubblichiamo un articolo del nostro collaboratore, Enrico Clementi. Articolo che in qualche modo “esula” dalle tematiche del nostro magazine, principalmente legate al mondo della neve, dello sci e più in generale del turismo in montagna.
Anche grazie al lavoro di divulgazione dello stesso Clementi sul mentale nello sci alpino, rileviamo con piacere che Scimagazine ha raggiunto nuovi target e acquisito nuovi lettori; non solo tra glia amatori attivi, ma tra gli atleti professionisti, gli allenatori, i maestri, i dirigenti e, non da ultimo, i genitori e le famiglie di atleti impegnati negli sci club.
È questa la ragione che ci spinge ad accogliere un articolo di tagli più generale e tecnico, che vuole essere la necessaria premessa di una serie di articoli successivi dedicati al difficile rapporto tra prestazione (avviamento al professionismo) e attività di promozione sportiva; con al centro e trasversale alle due, crescita personale degli atleti e partecipazione.
Buona lettura! La redazione.
Giovani, educazione, sport: stato dell’arte, riflessioni e modelli d’integrazione e sviluppo.
di Enrico Clementi https://enricoclementi.it/
[…] ormai l’orizzonte temporale di valutazione è diventato cortissimo, si pensa troppo a cosa dire oggi per far bella figura domani. Per cambiare un sistema così strutturalmente sedimentato come quello dello sport in Italia, bisognerebbe proporre progetti di ampio respiro che vedrebbero risultati e benefici solo dopo diversi anni […]. Non possiamo sperare che gli statisti forniscano risposte, ma dobbiamo essere noi i primi a spingere con gentilezza ma con fermezza la politica a interrogarsi su qualcosa che vada oltre quello che desideriamo oggi. Se il nostro obiettivo è avere una nazionale che vinca il prossimo mondiale e non ci interessa l’educazione alla formazione dello sport in senso più ampio, non possiamo certo sperare che interessi alla politica.
– F. Tranquillo
Il tema dello sport, nei giovani e nella società, ha conosciuto molte declinazioni: sport e salute, sport e integrazione (attività integrate), sport e agonismo, sport e cultura, formazione e sport, sport e mondo della scuola, per fare alcuni esempi.
Queste declinazioni dello sport, complementari le une alle altre, risentono, nel nostro Paese, del momento storico, degli strumenti di analisi del fenomeno sportivo, degli orientamenti e delle linee politiche attuali, della destinazione geografica, dei modelli educativi assunti, delle esperienze pregresse, delle best practice di altri paesi ecc..
Gli approcci alla programmazione, progettazione e realizzazione di attività sportive – diversamente direzionate – sono quindi riconducibili, nella loro varietà, a un numero circoscritto di modelli; che sono quello medico (orientamento alla salute), quello sociale (sport e integrazione, sport e cultura), politico/relazionale (crescita personale, partecipazione), professionale.
Una lettura globale di questi domini ci dice che lo sport, nei giovani (ma non diversamente per il mondo adulto), è fondamentalmente orientato, come altre attività umane ritenute essere evolutive per la persona e la società, a un aumento, a un rafforzamento del benessere personale e della qualità di vita.1
Incide cioè positivamente ed è in grado di rafforzare: benessere fisico e mentale, abilità motorie e cognitive, autodeterminazione, abilità relazionali-sociali, inclusione, pari opportunità, diritti e domini affini.
2.
Rispetto a queste premesse ci sembra di poter dire che oggi, a prevalere, sia sul piano politico e della allocazione delle risorse, che, sul piano dei modelli d’intervento, sia un approccio medico o – se si preferisce – salutogenico. Volto cioè alla ricerca di quei fattori che promuovono la salute, e a partire da una lettura sostanzialmente negativa delle abitudini e degli stili di vita dei giovani di questa generazione.
A conferma del prevalere di un approccio medico al tema dello sport per i giovani, sta il fatto che in Italia i fondi UE per la promozione delle attività motorie di base, passano sì dal Dipartimento per lo Sport, ma da una società dedicata denominata, emblematicamente, Sport e Salute – che aggrega attorno a sé le varie federazioni per la presentazione di progetti e la distribuzione dei fondi.
Sport di base, corretti stili di vita, diffusione del modello (incrementare la pratica sportiva e diminuire la sedentarietà), sono gli asset di questa struttura governativa – Sport e Salute è una S.p.A. nata nel 2019 alla quale sono demandate una serie di funzioni, anche di distribuzione delle risorse – e le linee di finanziamento hanno come target la scuola, la fragilità sociale, lo sport giovanile, il decremento delle abilità motorie, la formazione e simili
Nel 2023 sono state 40 le federazioni coinvolte in questo programma d’intervento (a fronte delle 6 negli anni precedenti il 2019), che a partire dalle linee guida degli istituti di ricerca hanno avuto comunque la possibilità di ristrutturare le reti federali (federazioni, organizzazioni di TS, tecnici, scuole, famiglie), e ripensare modelli e attività d’intervento per la divulgazione, la valorizzazione dello sport nei giovani e la formazione delle figure coinvolte.
Le linee d’intervento prevalentemente adottate, almeno stando alle fonti attuali e in particolare alla FISI, sono derivate da modelli derivati da altri paesi e che – in accezione molto generale e diffusa – privilegiano la crescita personale, la partecipazione (l’approccio di Jean Côté, attenuato per quanto attiene la componente prestativa), la interdisciplinarità e il multi-sport, le metodologie esperienziali.
3.
Confermata la bontà delle iniziative per la promozione dell’attività sportiva tra i giovani, sia a livello normativo che attuativo, centrale che periferico, l’attribuzione di questi finanziamenti presenta alcune criticità che proveremo a descrivere.
Il primo, che caratterizza in genere la gestione dei fondi UE, è un limite strutturale e legato alla logica adottata, che mira a facilitare la distribuzione dei fondi stessi, ma disattende una serie di specificità che invece qualificano l’utilizzo delle risorse in termini d’impatto sociale e sostenibilità: la logica è quella nota del “finanziamento a cascata” o Cascade Funding.
La seconda, appunto, è la provvisorietà di una serie di indicatori, che in assenza di un modello di lettura complesso e non meramente sanitario – modello complesso che diremo d’appresso – rendono difficile la valutazione dell’impatto sociale (Social Impact) delle iniziative, in termini di: promozione “su ampia scala” delle discipline, democrazia e inclusività della governance, relazioni con le comunità, i territori, i servizi in essere, reali conseguenze sulle politiche pubbliche (ivi incluse quelle federali), sostenibilità economica delle iniziative al termine del finanziamento, altri indicatori “di pressione” o “di stato” (anche ambientali, nel caso di alcuni sport).
La terza criticità è l’adozione di un modello di lettura biomedico, che ci sembra essere parziale, pur se supportato da ricerche e dati, rispetto alla condizione dei giovani, a scapito di un modello bio-psico-sociale; ossia di una strategia di approccio alla persona che attribuisce il risultato del benessere o del disagio, della salute o della malattia, all’interazione complessa e variabile di fattori biologici (genetici, biochimici ecc.), di fattori psicologici (stato emotivo, caratteristiche comportamentali, modelli d’apprendimento ecc.), e di fattori sociali, socio-economici e ambientali.
Troviamo che per chi si occupa di sport a qualsiasi livello – dalla promozione sportiva all’alto livello, e passando dall’individuazione, crescita e tutela del talento – un modello d’approccio e di lettura di tal fatta sia ormai imprescindibile, con ricadute su programmi, metodologie, assetti organizzativi, allocazione delle risorse, politiche, attività, strumenti valutativi ecc.
Le applicazioni sullo sviluppo di questo modello sono rilevanti anche per lo sport, dove appunto è difficile coniugare, in un “unico progetto” – cosa che pure andrebbe fatta – le varie istanze: divulgazione e ricerca del talento, tutela del talento e alto livello, promozione, avviamento e transizione al professionismo.
Un vantaggio particolare dell’applicazione del modello bio-psico-sociale in ambito sportivo, in speciale riferimento alla psicologia dello sviluppo, è che esso consente una convergenza nel dibattito tra natura e cultura, tra caratteristiche biologiche e comportamenti appresi. Questo modello offre non solo agli educatori sportivi, ma ai tecnici, una base teorica per l’interazione tra componente genetica (pure presente) e opportunità/caratteristiche di contesto: indichiamo appunto il contesto, in termini di organizzazione degli ambienti e delle struttura d’apprendimento, “terzo educatore”.
4.
Un ulteriore aspetto da considerare nei nostri ambienti d’apprendimento e nello sport è la metodologia – tanto diffusa e giustificata, quanto aspecifica – che vede il prevalere del formale sull’informale, dell’esperienziale sul cognitivo, della interdisciplinarità sulla specializzazione.
Precisiamo che non è in discussione la proprietà di un passaggio dalle metodologie deduttive, attente alla completezza delle informazioni, a quelle induttive o per “prove ed errori”, ma una loro contrapposizione e non integrazione; non integrazione che vede pure contrapporsi formale e non-formale, contesti d’apprendimento scolastici e non. È diffusa la difficoltà di conciliare, nel nostro Paese, attività sportiva agonistica e percorso scolastico, dalle primarie, alle secondarie di secondo grado, alle università.
Il contesto, e con esso le metodologie, sono dei veri e propri “educatori”, alleati o meno del processo d’apprendimento e una loro integrazione è strategica, ma al di là da venire.
Pensare invece secondo una “pedagogia degli ambienti educativi integrati” – cosa che suggeriamo – significa costruire una didattica di interazioni tra contesti formali e non-formali, ma anche informali e diffusi, partendo dalle pratiche comunicativo-sociali quotidiane.
In questo senso va rovesciata l’impostazione metodologica – l’appello è alle scuole e il mondo dello sport può dare un importante impulso e contributo – che sembra dominante anche nelle sperimentazioni dei progetti ministeriali, in cui il movimento va dal formale al non-formale e all’informale, e non viceversa.
«E’ ancora il formale con le sue regole didattiche, linguistiche, contenutistiche, tecniche che ingloba, seleziona, organizza e orienta a fini istruttivi il non formale e l’informale e non sono invece le esperienze costruite nelle relazioni sociali della vita quotidiana e soprattutto le pratiche produttive di artefatti culturali e simbolici a dare senso personalizzante ed empatico a conoscenze, abilità e competenze da condividere e sviluppare insieme per un progetto educativo comune» (Galliani 2010).
5.
Andrebbero operati dei richiami, dei riscontri (follow-up) alle attività di finanziamento e ai progetti rivolti ai giovani negli ultimi anni, per capire la reale incidenza di questi progetti sulla cultura generale e sugli stati e stili di vita dei giovani o di altri target.
Promuovere l’educazione dei giovani attraverso i valori dello sport e i corretti stili di vita è un’aspirazione sociale che ha informato le politiche pubbliche almeno degli ultimi dieci o quindici anni: è del 2013-2014 ad esempio il progetto dell’ANG (Agenzia Nazionale per i Giovani), titolato – Sport modello di vita; progetto che coinvolse la FIH, la FICK, la FIJLKAM, la FIPAV e altre federazioni sportive.
Anche l’azione del programma Erasmus+ dedicata allo sport va in questa direzione, oltre che nella direzione di promuovere la mobilità all’estero del personale delle associazioni sportive che operano a livello di base e a livello non agonistico, ed è gestita dal 2023 dall’ANG stessa.
Altre agenzie, come ad esempio il Panathlon International, operano per l’affermazione dell’ideale sportivo e dei suoi valori morali e formativi quali strumenti di educazione e crescita dei ragazzi. Anche in questo caso l’azione è meritoria e le parole chiave sono: qualità della vita, benessere, salute, socialità, integrazione, pari opportunità e simili.
La domanda – aperta – è se le risorse allocate e i progetti realizzati abbiano effettivamente prodotto i benefici immaginati, o raggiunto i risultati attesi indicati in sede progettuale.
Anche le imprese produttive negli anni scorsi, e oggi con più evidenza, hanno attinto ai valori dello sport come strumento di cambiamento sociale e di crescita per le nuove generazioni. È del 2008 l’iniziativa di sostegno rivolta alle ASD della Fondazione Sodalitas e di Assolombarda, dal titolo Avvicinare i giovani allo sport per allenarli alla vita.
Sono questi degli slogan che, ancorché suggestivi, rischiano di rimanere fini a se stessi se non producono, a livello sociale e governativo, una reale consapevolezza che molti dei valori che caratterizzano lo sport sono gli stessi del mondo sociale e produttivo: cooperatività, competitività, meritocrazia, rispetto delle regole, ricerca del risultato, innovazione, crescita personale (self-empowerment) ecc..
6.
Come detto, la domanda che abbiamo posto – ossia se le risorse allocate e i progetti realizzati abbiano effettivamente raggiunto i risultati attesi – è aperta, e non abbiamo la pretesa di soluzioni o risposte esaustive; ma nello stesso tempo segnaliamo una difficoltà di sistema, una inadeguatezza del modello interpretativo, e l’emergere, in altri contesti, di soluzioni e strategie certamente utili e virtuose.
Ne indichiamo alcune:
– formule di Self e di Yout Empowerment nello sport. Il termine empowerment indica un processo di crescita, sia dell’individuo che del gruppo, basato sull’incremento dell’autostima, dell’autoefficacia e dell’autodeterminazione, per far emergere risorse latenti e portare l’individuo ad appropriarsi del suo “potenziale prestativo” (in accezione molto lata e trasversale). A partire dal Comitato Olimpico Internazionale, che ha creato il Young Leaders Programme e dalla Global Sport Week di Parigi, che ha creato il programma Global Sport Makers, fino ad esplorare formule italiane come il FIGCYouth Lab ed altri modelli locali e territoriali, nel tentativo di valorizzare le competenze delle nuove generazioni (più che volerle modificare o cambiare); coltivare il talento e creare un ecosistema aperto al futuro e al contributo di tutti e di ognuno (logiche partecipative pubblico-privato, profit-no profit, e di progettazione “dal basso”); avviare un dialogo, oltre che inter-disciplinare, inter-generazionale, creando quel “ricambio” che ad oggi, in ambiente sportivo e per alcune discipline in particolare (penso agli sport invernali e allo sci alpino), è assolutamente prioritario e cruciale ad agni livello: dirigenza, tecnici, alto livello, nuovi target e bacini d’utenza ecc..
– Modelli derivati da altre realtà internazionali, opportunamente modulati rispetto al nostro contesto-Paese, ma che allo stesso ne superino le logiche. Per fare un esempio, in America le università e le high school formano sportivamente i giovani più promettenti, preparandoli ad una possibile chiamata nella NBA. In Italia gli atleti fanno molta fatica ad emergere in un mondo sportivo come quello americano; basti pensare che Danilo Gallinari è l’unico cestista italiano che attualmente milita in NBA. Un segnale molto significativo di come spesso, nel nostro Paese, manchino i mezzi e forse gli strumenti per non solo per individuare, ma per far crescere e tutelare il talento.
Il discorso sulla promozione da un lato, e dall’altro sull’individuazione, crescita e tutela del talento giovanile dall’altro, va ricompreso in un ragionamento più ampio legato alla cultura sportiva, che in Italia ha un valore visibilmente minore rispetto ad altri paesi in cui lo sport ha una centralità che permette ai giovani atleti di perfezionare concretamente le loro attitudine e qualità.
Come scrive Flavio Tranquillo nel suo Lo sport di domani. Costruire una nuova culture (ADD ed., 2020): «Per cambiare un sistema così strutturalmente sedimentato come quello dello sport in Italia bisognerebbe proporre progetti di ampio respiro che vedrebbero risultati e benefici solo dopo diversi anni, ma sembra che nessuno abbia la pazienza o l’intenzione di fare questo genere di investimenti. È, quindi, utopistico pensare di cambiare un sistema sportivo così compromesso se prima non cambia la concezione e l’idea di cosa deve essere lo sport a livello sistemico».
Uno spunto da cogliere per provare a rifondare il modello sportivo italiano in genere, e giovanile in particolare, rifacendoci, per quanto possibile, a modelli diversi e a best practice internazionali – intendendo con esse le esperienze, le procedure o le azioni più significative, o comunque quelle che hanno permesso di ottenere i migliori risultati, relativamente a svariati contesti, finalità e obiettivi.2
1 Il concetto di Qualità di Vita (QdV) è ambito di interesse e di studio in diverse discipline. Ciascuna ha sviluppato una differente prospettiva in merito alla sua concettualizzazione ed applicazione (Bergland & Narum, 2007). Facciamo riferimento, in questa sede, all’OMS che la definisce come: «La percezione dell’individuo della propria posizione nella vita nel contesto dei sistemi culturali e dei valori di riferimento nei quali è inserito e in relazione ai propri obiettivi, aspettative, standard e interessi» (WHOQOL, The World health organization quality of life assessment, 1995).
2 Per indicarne alcune, limitatamente allo sport amatoriale e alla promozione, quelle derivabili da progetti della Confederazione internazionale sport per tutti, che associa organizzazioni in rappresentanza di oltre 50 nazioni, quali: YOULead, volto alla formazione di giovani manager sportivi, che vanno derivati anche, auspicabilmente, dal mondo delle imprese (è quello del management uno dei nodi della cultura sportiva in Italia, sia a livello di base, che professionistico e federale); Eu MamaNet, che ha l’obiettivo di facilitare la realizzazione di festival internazionali MamaNet, il Cachibol riservato alle sole mamme e alle donne over 30 e pensato proprio per avvicinare le donne adulte al mondo dello sport di base, in una chiave family friendly (!);per il panel dedicato alla sostenibilità ambientale, tema che pure non possiamo disattendere, in termini di cultura sportiva, le linee guida che il gruppo “green” di CSIT ha costruito per i suoi grandi eventi sportivi, perché a partire dal 2023 rispecchino alti standard di risparmio energetico e rispetto ambientale e altri.