Deborah Compagnoni compie 50 anni: tanti auguri, grande fuoriclasse!
4 giugno 1970: esattamente 50 anni fa nasceva a Sondalo la sciatrice italiana più vincente di sempre: Deborah Compagnoni. Una carriera fatta di un numero impressionante di trionfi nelle gare secche: sei medaglie d’oro tra Olimpiadi e Mondiali. Finì infatti sul gradino più alto del podio olimpico in tre edizioni consecutive, in superG ad Albertville 1992 e in gigante a Lillehammer 1994 e Nagano 1998, e di quello mondiale in gigante a Sierra Nevada 1996 e in slalom e gigante a Sestriere 1997, inoltre vinse un argento a cinque cerchi in slalom a Nagano, a soli 6 centesimi dalla tedesca Hilde Gerg, dopo aver chiuso nettamente in testa la prima manche. Ma avrebbe potuto vincere anche più di una Coppa del Mondo, manifestazione in cui si è aggiudicata 16 gare (13 giganti, 2 superG e 1 slalom) finendo altre 28 volte sul podio, se fin da ragazzina non fosse stata bersagliata dagli infortuni, che le negarono la possibilità di essere una polivalente a tutto tondo e la costrinsero a dedicarsi, nella seconda parte della sua carriera, solo alle gare tecniche, per poi puntare tutto sui grandi appuntamenti con le medaglie, che infatti non fallì mai.
La sua epopea cominciò ai Mondiali di casa del 1985, durante i quali serviva ai tavoli dell’albergo di famiglia, il Baita Fiorita di Santa Caterina Valfurva, ai quali erano seduti i campioni e le campionesse del momento, tra cui colei che, pur essendo ancora giovanissima, era già il suo idolo, Vreni Schneider. In uno dei ritagli di tempo da queste incombenze fu apripista della discesa, disputata praticamente a due passi dalla porta di casa sua, e a soli 14 anni fece segnare un tempo migliore di quello delle sue connazionali che gareggiarono, tanto per dire il talento di cui era dotata. Esordì in Coppa del Mondo nel gigante della Val Zoldana del 20 dicembre 1986, poi, a cavallo tra novembre e dicembre 1987, fu quinta in superG a Sestriere e quarta in discesa a Val d’Isère, ma il 16 gennaio 1988 a Zinal in discesa si distrusse i legamenti del ginocchio destro, infortunio dal quale non recuperò mai completamente e che le causò molti stop anche nella seconda parte della carriera. Di più: il 20 ottobre 1990 fu colpita da una peritonite fulminante e papà Giorgio la portò a rotta di collo all’ospedale di Sondalo dove le venne salvata la vita per un pelo.
Le ci volle ancora più di un anno per esplodere ad alto livello e ci riuscì proprio nella stagione olimpica di Albertville, con cinque secondi posti, quattro in gigante e uno in slalom, e con la vittoria, il 26 gennaio 1992, nel superG di Morzine, preludio dello straordinario trionfo a cinque cerchi nella stessa specialità a Meribel, sempre in Francia, dove col pettorale numero 16, quando erano già scese le sue più forti avversarie, le distrusse tutte, a cominciare dalla beniamina di casa Carole Merle, che il pubblico di casa credeva già vincitrice. Era il 18 febbraio 1992, un martedì, ed essendo stato il superG olimpico rinviato di 24 ore a causa del maltempo, il trionfo di Deborah arrivò poche ore prima di quello di Alberto Tomba, che nel gigante di Val d’Isère completò il giorno più bello e glorioso dello sci alpino italiano. Ma il giorno dopo la valtellinese si ruppe i legamenti dell’altro ginocchio, il sinistro, nella prima manche del gigante che avrebbe dovuto segnare il suo trionfo bis e per il suo urlo di dolore in diretta in mondovisione divenne un personaggio amatissimo presso il grande pubblico italiano dei non addetti ai lavori, che si commossero molto di più per quell’infortunio che non per le sue vittorie, che pure, come detto, sono state un’enormità.
A proposito, le vittorie: ne raccolse otto consecutive in gigante tra il 17 gennaio 1997 a Zwiesel e il 6 gennaio 1998 a Bormio, record assoluto di successi di fila in questa specialità, inframezzati da quello ai Mondiali del Sestriere. L’ultima sua grande gioia fu quella, sempre tra le porte larghe, il 20 febbraio 1998 alle Olimpiadi di Nagano, mentre a livello di coppe del mondo di specialità si è aggiudicata quella di gigante nel 1996-1997 ed è stata seconda in quella del 1997-1998, guarda caso gli unici due inverni per i quali poté prepararsi senza intoppi e che disputò senza infortuni, arrivando entrambe le volte quarta nella classifica generale. Gareggiò solamente un’altra stagione e poi, alle finali di Sierra Nevada 1999, annunciò il suo ritiro in diretta al termine del gigante del 13 marzo, nel quale fu settima. Dopo l’abbandono dell’agonismo, da persona schiva e umile quale è sempre stata anche all’apice della sua carriera, si è tenuta il più possibile lontana dai riflettori. Si è sposata con Alessandro Benetton e ha dato alla luce tre figli, Agnese, Luce e Tobias. Nel 2002 ha fondato “Sciare per la vita”, associazione che lotta contro la leucemia, mentre nella cerimonia di apertura dei Giochi di Torino 2006 è stata il penultimo tedoforo prima di consegnare il tripode a Stefania Belmondo.
Tornando alla sua carriera di sciatrice, due particolari, soprattutto il secondo, rendono l’idea di che razza di fuoriclasse sia stata Debby, come era chiamata da tutti. Quando si fece male nel gigante olimpico di Meribel aveva il pettorale numero 14 e lo stesso numero le toccò in sorte due anni più tardi nella stessa gara a Lillehammer, ma lei si comportò come se nulla fosse fregandosene della superstizione e stravinse. Il secondo particolare riguarda sempre i giganti olimpici: a parte la prima manche del 1992, che ovviamente non completò, nelle altre quattro che ha disputato tra le porte larghe, le due del 1994 e le due del 1998, ha sempre fatto il miglior tempo! Ma non basta: tutti i suoi ori olimpici li ha vinti con un distacco superiore al secondo sull’avversaria più vicina: rifilò 1”41 a Carole Merle nel superG del 1992, 1”22 a Martina Ertl nel gigante del 1994 e 1”80 ad Alexandra Meissnitzer nel gigante del 1998. Una campionessa stratosferica, che solo per l’immensa sfortuna che l’ha costantemente colpita ha dovuto lasciare a Federica Brignone l’onore di essere la prima italiana a vincere la Coppa del Mondo generale.
Per concludere, oltre ai suoi grandi meriti personali, che ne fanno una vera e propria leggenda vivente dello sport non solo italiano, Deborah ha anche quello di essersi trascinata dietro di sé molte ottime atlete, da Bibiana Perez, unica vincitrice azzurra di una combinata di Coppa del Mondo prima di Federica Brignone, a Morena Gallizio, talento polivalente smarritosi troppo presto, da Lara Magoni, seconda nel memorabile slalom mondiale del 5 febbraio 1997 del Sestriere a 1″27 da Debby, a Barbara Merlin, due podi in Coppa del Mondo e in seguito apprezzata telecronista, da Sabina Panzanini, tre volte vincitrice in gigante, a, soprattutto, Isolde Kostner, due titoli mondiali in superG e due coppe di discesa e un argento e due bronzi olimpici in bacheca più 15 gare vinte in Coppa, come Brignone e una meno di Debby, senza dimenticare che proprio Panzanini e Kostner furono seconda e terza alle spalle di Deborah nel gigante di Narvik del 2 marzo 1996 che vide la prima, storica, tripletta dell’Italia in una gara di Coppa del Mondo femminile.
Con tutte queste ragazze, ma non solo queste, capitanate da Debby, si interruppe quel periodo di crisi profonda del settore femminile che era seguito alla fine della prima “valanga rosa” di fine anni settanta-prima metà anni ottanta di cui furono principali esponenti Claudia Giordani, Ninna Quario, Daniela Zini e Paola Magoni. Da Deborah & C. in poi, in casa Italia, è stato un continuo emergere di atlete più o meno grandi, dalla campionessa olimpica di superG Daniela Ceccarelli, regina dello sci per un giorno, a Karen Putzer, prima azzurra a finire sul podio della classifica generale di Coppa, a Denise Karbon, gigantista sopraffina come poche altre nella storia, e tante tante altre che non stiamo a nominare, perché l’elenco sarebbe davvero troppo lungo, fino ad arrivare allo squadrone dei nostri giorni.
Degli anni in cui gareggiava, di Deborah Compagnoni ci restano, oltre che quell’urlo di dolore a Meribel, la sua sciata quasi maschile soprattutto in gigante, la specialità che le si adattava di più, le esultanze composte e quasi incredule al traguardo anche dopo aver fatto la più incredibile delle imprese, e l’espressione sognante quando si ritrovava sul gradino più alto del podio olimpico e mondiale, come se fosse alla ricerca costante, col pensiero, di nuovi e più grandi traguardi. Grazie, grande fuoriclasse, per le immense emozioni che ci hai saputo dare, e tanti tanti auguri da tutta la redazione di Scimagazine!
Max Valle
Foto: FISI Pentaphoto