Lo sciatore “in 3D”: la trasformazione dei limiti in opportunità
La vita dà il massimo,
a chi trae il massimo da ciò che la vita gli dà
R. Harris
Molto spesso nello sport di vertice, dove troviamo atleti assolutamente capaci da un punto di vista tecnico e preparati fisicamente, l’errore, durante una competizione, viene spiegato come un “errore di atteggiamento”: l’atleta – si dice – “non ha saputo interpretare la gara”, oppure “non ha osato, dove pure avrebbe potuto attaccare”, o ancora “ha perso la concentrazione” ed è uscito, o ha inforcato.
Là dove ci troviamo di fronte a considerazione e ad analisi del genere, siamo già nel “mentale” ed è utile cercare di capire quali siano le strategie da adottare per gestire tale aspetto: ogni errore, ogni sconfitta, in altri termini, diventa un’opportunità di apprendimento.
Ho già dedicato alla “pedagogia dell’errore” alcuni articoli, indicando l’errore:
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Normale, perché fa parte dell’esperienza e dell’attività dell’essere umano;
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Positivo, perché con la sua incidenza permette di far giungere il soggetto a conoscenze più prossime al successo delle azioni;
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Utile, perché ci mette in condizione d’imparare da esso.
Come si dice con uno slogan: “nella vita, o si vince, o s’impara!”.
In qualche modo e per eccesso il mental coach o l’educatore sportivo non sono degli esperti in vittorie, ma certamente conoscono molto bene l’ambito delle sconfitte.
Per apprendere dalle sconfitte però, dobbiamo avere un qualche sistema interpretativo, che ci permette di scomporre in elementi o piani costitutivi la prestazione.
Diciamo pure che questa operazione, ancorché necessaria, è riduttiva rispetto alla complessità della performance; ossia rispetto alla complessità di quel processo che possiamo concepire come un aggregato, più o meno integrato e strutturato, di elementi tra loro interagenti.
Informazioni in ingresso e strategie in fase di ricognizione e nel pre-gara; sensazioni e adattamenti, interpretazione del tracciato in gara (attribuzione di significati: sensazione vs. percezione); risultato e analisi del risultato, collocazione dei vissuti nel post gara, alcuni di questi elementi tra loro interagenti.
È a questo punto che diventa interessante il discorso sui vari approcci, sulle metodologie, sulle tecniche, sui modelli per l’ottimizzazione della prestazione mentale.
In realtà non sono molti i modelli (essendo il modello tale, per definizione, perché rappresentabile), ma prevalgono appunto le teorie, le tecniche e dove parliamo di mental training, alcune pratiche per la “gestione” del mentale pure preziose.
Non sono rari, nello sci alpino, gli esempi di atleti che, opportunamente indirizzati, si sono mossi in questa direzione e hanno saputo trasformare i loro limiti in opportunità: maggiori erano le difficoltà mentali e d’atteggiamento, maggiori, in alcuni casi, il risultato.
Un esempio per tutti, ancorché controverso, quello di Sofia Goggia e delle sue “goggiate”, trasformate, ad un certo punto della carriera, da limiti, in risorsa e fatto positivo: fare una “goggiata” per questa atleta, almeno dalle Olimpiadi di Pyeongchang, è significato trovare adattamenti e soluzioni positive in grado di produrre risultato.
Nello sport di vertice, ma anche in quello non professionistico delle categorie giovanili (ma qui in modo meno sistematico), la differenza nella prestazione è data da chi sa puntare sulle proprie risorse, sui punti di forza, e chi invece “resta al guado” e continua a nutrire dubbi sulle proprie capacità.
Non è assolutamente detto, infatti, che un’apparente autostima e senso di fiducia nelle proprie risorse, non sia in qualche modo depotenziato, in gara e sotto stress, da una parte dell’atleta non integrata e che “rema contro”, (auto)boicottando la prestazione.
Trasformare un problema in un’opportunità equivale, per fare un’analogia, alla scoperta della terza dimensione in pittura e a un cambio di prospettiva – abbiamo tutti in mente la pittura medievale e il passaggio alla rappresentazione grafica rinascimentale, dalla quale muove un nuovo corso delle cose.
La nostra attività consiste appunto nel facilitare questo passaggio, che è a suo modo un passaggio epocale, una svolta per la persona; ossia un passaggio evolutivo e di crescita che fornisce in primis strumenti di lettura, interpretativi, e in secondo luogo di lavoro, operativi.
Non sono le tecniche ad innestare questo cambiamento, ma un lavoro sulle caratteristiche personali in termini di integrazione dei vissuti e degli atteggiamenti: è infatti più conveniente, sul piano prestativo, lavorare sulle caratteristiche personali, che non su tecniche di gestione e controllo emotivo.
Nelle tecniche di gestione emotiva e nelle strategie di controllo non c’è nulla di male, se non là dove c’è un abuso delle stesse e dove esse, evidentemente, non possono funzionare perché le emozioni e i pensieri destabilizzanti sono troppo forti, oppure ricorrenti.
Inoltre il controllo ha dei costi in termini di sforzi ed energie, di tempo (essendo poco efficaci nel lungo periodo), di relazioni negate, opportunità negate, ecc.
Non abbiamo, al momento, intenzionalmente, un modello prestativo specifico, cioè a dire uno strumento rappresentazionale, ma una modalità di lavoro “aperta” che ci permette di rendere possibile, realizzabile, il passaggio dalla conoscenza alla competenza, dal sapere al saper fare, essere e divenire.
Ossia una modalità volta a fare integrazione e a coniugare gli aspetti prestativi con la crescita personale, la partecipazione attiva dell’atleta, dei genitori, dei tecnici coinvolti.
Infatti, se opportuna una regia del progetto con l’atleta (e non sull’atleta!) questa regia, nello scenario attuale, vede non solo l’allenatore come persona di riferimento o case manager, ma sempre più un genitore; che ha o acquisisce competenze, valuta bisogni, risorse, individua professionalità e le coordina.
Dedicheremo al management dell’atleta e al fenomeno un prossimo articolo, considerando in quel contesto la rilevanza dell’approccio descritto, che è un approccio multidisciplinare e interdisciplinare, e che implica: una valutazione iniziale del risorse (assessment), anche di contesto, la costruzione di un progetto partecipato personalizzato (athlete planning), l’attuazione di azioni di supporto e sostegno, pratiche di monitoraggio, valutazione e riprogrammazione positiva.
Enrico Clementi enricoclementi017@gmail.com