Dolomiti Superski: è tempo di bilanci
La stagione è agli sgoccioli ed è già tempo di bilanci. Ne abbiamo parlato con Marco Pappalardo, direttore marketing di Dolomiti Superski e pertanto una delle persone che più ha il polso di come sta andando questo inverno.
«Siamo molto soddisfatti. Nonostante a ottobre e novembre le previsioni fossero abbastanza nebulose, con una certa dose di incertezza, la gente ho dimostrato di aver voglia di sciare. E questo è l’importante. Ci ha aiutato il fatto che la neve è arrivata al momento giusto, poco prima dell’inizio della stagione. A fine novembre ha fatto freddo, poi ha nevicato ancora, ciò ci ha consentito di preparare bene le piste. E ancora adesso le condizioni sono ottime nonostante ci siano stati periodi di caldo e nonostante da noi, in Dolomiti, abbia nevicato meno che sulle alpi occidentali».
Avete già qualche numero?
«Sì, anche se parziali. A fine febbraio abbiamo fatto registrare un più 13% rispetto all’anno passato. Siamo più o meno ai livelli pre covid».
Comprensori grandi e comprensori piccoli. Chi ha lavorato meglio?
«Direi che hanno vinto tutti. Non c’è un perdente. Tutti volevano sciare e questo ha trainato sia i comprensori grandi sia quelli più piccoli, certo con clientele diverse. Ma lo ripeto. La voglia di sci è stata trasversale».
Mercato italiano e mercato straniero. Come è cambiato da prima del covid? Le percentuali?
«Abbiamo notato che dopo il covid la clientela è più internazionale. Significa che è cresciuto tanto lo straniero. I mercati di lingua tedesca, la Polonia, la Repubblica Ceca, la Gran Bretagna stanno facendo registrare buoni numeri e sono cresciuti parecchio Stati Uniti e Canada; questi ultimi due, però, potrebbero essere stati “drogati” dal cambio favorevole. Per loro il rapporto costo/benefici è decisamente vantaggioso. Riguardo l’Italia, siamo passati da un 50 a un 45%, ma ciò non significa che gli appassionati di casa nostra siamo diminuiti, anzi, sono cresciuti di numero, però con una percentuale minore rispetto al turista straniero».
Ultimamente importanti quotidiani hanno attaccato il mondo dello sci riguardo la sua presunta poca sostenibilità. Secondo te da dove nascono questi attacchi e pensi che, magari, qualcosa nella comunicazione interna non abbia funzionato a dovere?
«Sì, gli attacchi ci sono stati e anche numerosi. Il motivo è abbastanza semplice e va ricercato nel concetto del titolone che fa notizia. Il cambiamento climatico esiste e non può essere negato. Piove meno di prima e stiamo assistendo a un’estremizzazione dei fenomeni. I media hanno cavalcato tutto ciò spingendo sul fatto che esistono attività considerate primarie, vedi l’agricoltura ad esempio, mentre lo sci non lo è, perché è tempo libero e si può farne a meno. Quindi viene condannato perché non necessario. Però non dobbiamo dimenticare che l’indotto creato dal mondo neve è enorme e se domani chiudessero gli impianti intere valli, interi paesi morirebbero, con un impatto enorme sull’economia nazionale. Nel turismo lavorano milioni di famiglie. Ecco perché dobbiamo proteggere i territori; altrimenti non ci sarebbe futuro per le generazioni a venire.
«Venendo alla seconda parte di domanda, la filiera probabilmente non ha saputo fare squadra. Come Dolomiti Superski abbiamo adottato una strategia che non va a controbattere i numeri dei media, quelli sulle minori precipitazioni e sull’aumento delle temperature. Noi però diciamo che in questo momento l’uomo ha bisogno di rigenerarsi nella natura. La vita in città è sempre più complessa e la montagna offre una risposta adeguata. Ecco il motivo perché la gente è tornata in massa in montagna dopo la pandemia. Abbiamo vissuto per più di 2 anni sotto una cappa, poi è stato tolto il tappo. Basta guardarsi in giro, c’è gente ovunque che vuole stare all’aria aperta. E noi andiamo incontro a queste esigenze».
Si parla sempre di più di prezzi dinamici per sciare. Pensi che nel giro di poche stagioni il vecchio skipass a prezzo fisso andrà in pensione?
«E’ un tema parecchio discusso e non me la sento di fare una previsione radicale. Credo che difficilmente il vecchio sistema andrà in pensione; certo, ci saranno alternative. E’ ormai un dato di fatto che la digitalizzazione sarà sempre più importante, ma il nostro mondo è molto complicato e riassumere tutto in un algoritmo è difficile. Questo sistema funziona bene per riempire un aereo o un albergo, ma il contesto di un’area sciistica ha mille sfaccettature e presenta molte più variabili. Ecco perché nelle prossime stagioni il sistema dei prezzi dinamici potrebbe affiancarlo ma non penso che lo sostituirà».
Impianti sempre più moderni e performanti. Risultato, niente più code, però piste a volte affollate. Come si fa a trovare il giusto mezzo?
«Ne parliamo in maniera approfondita già da qualche anno. Spalmare la clientela nell’arco della stagione non è però sempre possibile poiché i mercati si comportano diversamente. Ti faccio un esempio. L’italiano tende ad andare in vacanza in alta stagione, quando c’è tanta gente; cerca la folla, a volte la confusione, altrimenti dice che “un mortorio”. Lo straniero, al contrario, quando prenota chiede i periodi meno affollati, predilige la tranquillità, che per lui è un plus importante»
Cosa può fare e cosa sta facendo Dolomiti Superski per rendere sempre più sostenibile il proprio lavoro?
«Premesso che non stiamo divulgando troppo ciò su cui stiamo lavorando perché vogliamo prima fare i compiti e poi parlare. Comunque, abbiamo avviato già da qualche tempo un progetto di rilevazione delle criticità. Calcoliamo le emissioni di Co2 in ogni area e abbiamo identificata 8 aree tematiche, con un responsabile in ognuna di queste. Per Dolomiti Superski la sostenibilità non è solo un tema ecologico, legato alle emissioni, anche perché gli impianti vanno a energia verde, la neve viene prodotta solo a certe temperature ed è composta esclusivamente di acqua, che poi torna nelle fonti. Per noi la sostenibilità abbraccia anche l’aspetto economico, ad esempio fare impresa sul territorio e non migrare verso le aree urbane, e quello sociale; con lo sci i paesi rimangono vivi, si sviluppa l’artigianato e il commercio e si preservano le tradizioni, a differenza di quanto avviene in certe località degli Stati Uniti e in Francia».
Impianti a fune per togliere traffico dalle strade. Un concetto che sta prendendo sempre più piede…
«Certo, è un principio cardine della nostra strategia. Non per niente nelle grandi metropoli società come Leitner e Doppelmayr vengono chiamate a risolvere i problemi di inquinamento con la realizzazione di linee orizzontali. Accade a Rio, a Città del Messico e in molte altre grandi città congestionate dal traffico. Si tratta di mezzi di trasporto e non vanno intesi solo come parte di un comprensorio. Significa che sulle nostre montagne occorre sfruttarli nella maniera migliore, così da scaricare il traffico dalle strade e dai passi, soprattutto in estate, quando il turista usa maggiormente la macchina per spostarsi da un posto all’altro. Per riuscirci bisogna lavorare in sinergia con le istituzioni, ma la strada è quella. Non ci sono dubbi».
Foto: wisthaler.com