Lo sciatore “potente” 3: note critiche alla individualità
Lo sci alpino è uno sport individuale, ma che, almeno fino al professionismo, si allena in gruppo o in squadra.
Il gruppo, la squadra, in questo senso, possono fungere da supporto e volano all’atleta (team building positivo), oppure, a seconda dei casi, drenare risorse e generare dinamiche di solidarietà negativa.
Così, al posto della consueta distinzione tra motivazione intrinseca ed estrinseca, alcuni autori propongono di distinguere tra motivazione autonoma, e motivazione controllata; quella cioè per cui gli elementi motivazionali intrinseci, sono in relazione con stimoli di natura ambientale.
Da qui l’importanza, in specie nelle categorie giovanili ma anche nel professionismo, di allenare la dialettica tra individualità e relazione, tra autonomia e controllo, tra spinta personale all’agire e cooperatività (cooperative learning).
È questo il focus dell’articolo, che vorrebbe invitare allenatori, dirigenti e altre figure di supporto agli staff, ad operare negli sci club, nelle squadre, nei gruppi di comitato, secondo una doppia centratura: una sul singolo, l’altra sul gruppo; con finalità e obiettivi corrispondenti, ma interrelati.
Quale “benessere” nello sci alpino?
La convinzione che anima un approccio positivo allo sci alpino è che la persona in apprendimento abbia, per l’appunto, una disponibilità evolutiva positiva.
Questo approccio al fine di contrastare una tradizione pedagogica, anche sportiva, che si sviluppa come scienza “in negativo”; dove vengono formulate ipotesi circa il mal funzionamento, dove si interviene in modo compensativo, e dove risulta più difficile comprendere i funzionamenti ottimali e il benessere.
È all’interno di questo paradigma che si pone la distinzione tra benessere edonico, centrato su sé, auto-riferito, e benessere eudaimonico, che riguarda il soggetto nella relazione all’altro e all’ambiente.
In uno sport individuale, ma che si allena in gruppo o in squadra, è forte il rischio di una visione edonica della disciplina, dove si fanno scelte “per sé”, autoriferite, a scapito di una formazione eudaimonica, responsabilizzante.
Ossia di una formazione che promuove il benessere in accezione molto concreta, rafforzando le abilità critiche, l’autoconsapevolezza, la motivazione intrinseca, e rafforzando le risorse sia interne (valori, emotività, strategie cognitive ecc.) che esterne, tali da incrementare le possibilità della persona di un adattamento positivo all’ambiente. (Cfr. Stefano Gheno, La formazione generativa. Un approccio all’apprendimento e al benessere delle persone e delle organizzazioni, 2010)
La dialettica bisogno-desiderio
Secondo una certa prospettiva (Self Determination Theory), il nostro agire è intrinsecamente motivato dal desiderio di rispondere ad alcuni bisogni di base, che sono quelli di:
- autonomia, nel senso di autoaffermazione e capacità di intervenire sul reale in modo volontario, esercitando un qualche potere causale (agentività o Agency);
- sentirsi competenti, capaci cioè di rispondere in modo adeguato a richieste/sollecitazioni interne o esterne;
- sentirsi parte di un contesto, di un sistema di relazioni e capaci di interagire con esso (relazionalità).
Nel nostro caso lo sport, la prestazione agonistica, la professione, sono modalità tipiche di realizzazione di sé, di autoaffermazione; che però sarebbe riduttivo ricondurre al desiderio di dire di sé ad altri in modo efficace (Stefano Gheno), non tenendo in debito conto – ancora una volta – quei sistemi motivazionali tipici delle specie a maggiore complessità sociale: cooperatività, appartenenza al gruppo, inclusione, affiliazione e simili.
Se è vero che nella vita in genere e nello sport in particolare è presente una spinta all’auto determinazione, all’affermazione di sé, è altrettanto vero che questa affermazione di sé è da intendersi in accezione generativa. Ossia come sviluppo di un potenziale personale all’interno di un contesto, che frequentemente si presenta dominato da fatica, dissapori, frustrazione, rivalse, e quindi luogo di malessere, piuttosto che di promozione e benessere.
Autoefficacia e Modeling
La convinzione dell’atleta riguardo alla propria capacità di gestire in modo efficace una prova, una situazione, risulta da alcuni fattori che proveremo a descrivere (Cfr. S. Gheno, La formazione generativa. Un approccio all’apprendimento e al benessere delle persone e delle organizzazioni, cit.):
- le esperienze pregresse di gestione efficace, cioè quelle in cui una persona affronta effettivamente con buoni risultati una certa situazione (in questo senso è gioco forza che la crescita tecnica o il feel rafforzano l’autoefficacia percepita);
- l’esperienza vicaria derivata dall’osservazione di modelli: il fattore di vedere persone simili a sé o pari raggiungere i propri obiettivi con impegno, azione, sacrifici, incrementa la convinzione di potere fare egualmente (modellamento o Modeling);
- azioni persuasive secondo le quali coloro che sono state convinte di avere buone capacità nello svolgimento di un compito, hanno più probabilità di attivarsi positivamente e in modo protratto nel tempo, rispetto a chi ha dubbi sul proprio effettivo valore;
- la gestione positiva o neutra di stati emotivi e fisiologici interpretati, generalmente, come stati tensivi presaghi di una cattiva prestazione.
Potere personale e dimensione relazionale
Una prima accezione di sciatore potente è quella che riguarda la percezione soggettiva di questo potere; ossia le convinzioni circa la propria capacità di organizzare ed eseguire le azioni necessarie per produrre determinati risultati.
Si tratta cioè di percezioni e convinzioni che indicano le proprietà della mente di operare in modo ricorsivo, permettendo alla persona di leggere alcuni fenomeni complessi, farne una valutazione e imparare dall’esperienza.
Secondo questa prima accezione, e senza disattendere un esame realistico delle risorse e dei limiti strutturali, il nostro approccio promuove una pensabilità positiva, ovvero un approccio proattivo nel rapporto con la realtà.
Un secondo livello è quello che vede il potere del rafforzamento in riferimento alla sua durata nel tempo.
Se i metodi e le tecniche derivate da un approccio “curativo” al mentale forniscono risposte, soluzioni, adattamenti funzionali, il self empowerment – come indicato nel precedente articolo, al quale rimando https://www.scimagazine.it/lo-sciatore-potente-2-un-profilo/ – fa leva sul potenziale attuale della persona-atleta.
Cioè crediamo alla possibilità di trasferire un potere diffuso, anche a partire da condizioni di svantaggio e di difficoltà evidente, in forza di quel principio di educabilità senza il quale il nostro impegno, come educatori, sarebbe irrazionale e vano.
Un ulteriore livello riguarda una prospettiva inter-soggettiva, ovvero il rapporto tra potere personale e potere relazionale; cioè tra il potere dell’uno e il potere sugli altri. Dove l’atleta potente non è un soggetto irrelato, ma una persona capace di fronteggiare i vincoli che il rapporto con la realtà evidenzia. (Cfr. S. Gheno, L’uso della forza. In self empowerment nel lavoro psicosociale e comunitario, 2005).
Enrico Clementi enricoclementi017@gmail.com
Foto: FISI Pentaphoto