Lo sciatore “preoccupato” e lo sciatore “capace” – Prima parte
Che si sia amatori, atleti, professionisti della neve, poco cambia! L’ottimismo o il pessimismo fanno parte del nostro DNA, li abbiamo nella pelle.
Quello che voglio dire è che al di là del nostro modo di approcciare lo sci, ognuno di noi porta in quell’azione specifica un proprio modo di essere, di concepire le cose; ovvero di raccontare a se stesso i casi della vita.
C’è allora, dopo una prova deludente (una gara, un esame abilitante per la professione, una dimostrazione in campo libero), chi è incline a dirsi le cose in un certo modo, poniamo in modo non particolarmente drammatico e negativo, e chi invece farà l’opposto, giudicando se stesso come incapace, o come uno che quando deve dare il meglio perde sistematicamente ogni punto di riferimento positivo.
Questa attitudine che descrivo e che il lettore, ne sono certo, potrà riscontrare in se stesso in modo più o meno marcato, si chiama “stile esplicativo” e riguarda, appunto, il significato che attribuiamo ai fatti, piuttosto che lo stato emotivo che ci precede e accompagna nel mentre della prova, riguarda le nostre aspettative, piuttosto che la funzionalità delle strategie apprese dopo un insuccesso.
In questo senso proviamo a domandarci, come atleti o professionisti, ma anche come amatori di buon livello che hanno aspettative e obiettivi più o meno importanti:
– Per me, l’insuccesso, è stimolo per fare meglio, oppure esperienza che inibisce le prospettive future?
– Sono uno che impara dagli insuccessi, che sviluppa strategie più efficaci, oppure l’insuccesso mi rende più insicuro di quanto già non mi senta?
– In genere, faccio prognosi positive o negative sulle prove che mi aspettano?
– Le esperienze negative del passato, quanto incidono sulla percezione attuale che ho di me stesso? Me le porto ancora addosso? E se sì in che termini?
– […]
Si dice che il linguaggio verbale non ha solamente una funzione descrittiva, ma costruttiva! Cioè a dire modella le nostre rappresentazioni mentali e quindi, in questo caso, l’immagine che abbiamo di noi stessi, in termini di Autostima e di Autoefficacia percepita; cioè a dire in termini di percezione generale di me stesso (mi sento una persona di valore?) e di capacità specifiche nell’eseguire un compito (come funziono in situazione, sento di dare il meglio di me stesso? Mi percepisco capace di gestire il compito?).
Uno sciatore “preoccupato” è assolutamente evidente, anche ad un occhio non particolarmente esperto, nel suo modo di esprimersi in pista; così come uno sciatore che ha un buon senso di autoefficacia (ovvero che si sente “capace”), mostrerà un approccio e attitudini in campo assolutamente diverse.
Sciare bene, quindi, o allenarsi a competere per l’agonista e finanche allenarsi a vincere, significa non solo avere qualità tecniche e visione tattica (ogni atleta di livello ha questi requisiti, eppure non tutti salgono sul podio, o, in modo più discreto, riescono a trovare continuità di risultato), ma rafforzare l’autoefficacia percepita e quindi l’autostima… ma anche, per alcuni, rompere quel circolo vizioso legato a un senso di “impotenza appresa”, ovvero di incapacità a riconoscere o a trasferire competenze apprese nei momenti critici dell’esperienza sportiva.
Siamo qui ad un passaggio critico del nostro ragionamento, che svilupperò nel prossimo articolo e che riguarda appunto quest’ultimo costrutto: con “impotenza appresa” ci si riferisce al comportamento manifesto di un soggetto che ha fatto esperienza più e più volte, subendoli, di stimoli avversi al di fuori del suo controllo.
Come detto in precedenza, l’Impotenza appresa è collegata al concetto di autoefficacia, ossia alla credenza dell’individuo di possedere le capacità per raggiungere gli obiettivi prefissati.
La teoria dell’Impotenza appresa (Seligman) sostiene che l’atteggiamento “di rinuncia”, o le difese ad essa collegate, possano derivare da tale assenza di controllo – non necessariamente reale, ma percepita – sull’esito di una situazione.
Gli atleti che fanno esperienza di un senso di Impotenza di questa natura, che potremmo anche mitigare in “incapacità appresa”:
– considerano gli insuccessi come prove della loro inadeguatezza e della loro scarsa abilità,
– manifestano stati emotivi decisamente negativi,
– esprimono prognosi pessimistiche riguardo ai propri risultati,
– peggiorano le loro strategie di gestione del compito progressivamente dopo il verificarsi di insuccessi,
– perdono la concentrazione e si distraggono con pensieri e verbalizzazioni irrilevanti rispetto al compito,
– forniscono spiegazioni esaustive e stabili, mai momentanee, sulle cause dell’insuccesso stesso.
Vedremo tra una settimana cosa invece caratterizza un atleta o uno sciatore “potente”, ovvero che manifesta stati emotivi e pensieri positivi verso il compito, utilizzando uno stile esplicativo degli eventi non stabile e globale (del tipo: ecco… lo sapevo! È sempre così! Ogni volta che sono in gara non funziona! Quando devo dimostrare qualche cosa, do il peggio di me!), ma caratterizzato da momentanee e specifiche spiegazioni degli eventi avversi (del tipo: oggi ero sotto tono… non ho trovato nelle prime porte l’assetto giusto, ma nella parte bassa del tracciato non è andata male! Devo allenare di più la partenza e la fase di spinta… è lì che perdo concentrazione e mi destabilizzo!).
Enrico Clementi – Educatore, Formatore, Consulente e Trainer educativo
Autore de: L’allenamento mentale nello sci alpino. Prospettive e strumenti dal mondo dell’educazione (BMS, 2020) http://www.bmsitaly.com/prodotto/allenamento-mentale-nello-sci-alpino/
Per info, contatti, attività formative e di orientamento: enricoclementi017@gmail.com
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