Amatori attivi e allenamento mentale nello sci alpino, quale rapporto?
Si ritiene, in modo inesatto, che l’allenamento mentale sia un aspetto che riguarda lo sport professionistico e sia finalizzato al solo miglioramento delle performance di tipo agonistico.
In realtà, l’aumento delle abilità mentali e il rafforzamento dei punti di forza individuali, è in qualche modo strategico anche là dove gli obiettivi siano non “di più basso profilo” (rispetto all’agonista), ma semplicemente diversi, implicando comunque nuovi apprendimenti.
L’assioma del nostro discorso è che lo sci è un apprendimento e che, come tale, implica la gestione di aspetti non solo motori, ma anche emotivi, ovvero ambientali e di contesto.
Per dare un esempio chiaro al lettore e che certamente è parte del suo bagaglio d’esperienza, è frequente la percezione che ogni qual volta dobbiamo mostrare qualche cosa ad altri (un maestro, un allenatore, una persona da noi ritenuta “significativa”), la nostra prova subisce delle alterazioni che, in genere, la rendono inferiore alle aspettative: facciamo peggio – raramente meglio – di quel che pensiamo di poter fare.
Il nostro stato mentale, la nostra emotività, l’immagine che abbiamo di noi stessi, la nostra autostima, la capacità di attenzione, di focalizzazione sul compito, ecc. incidono inevitabilmente sulla qualità del gesto tecnico e, non secondariamente, sulla gratificazione che otteniamo da quello che facciamo.
Quella che ho genericamente indicato come “qualità del gesto tecnico”, è in realtà la risultante delle nostre abilità specifiche. Abilità che comprendono non solo quelle sciistiche in senso stretto, ma anche quelle emotive, che influiscono su postura, tono muscolare, coordinazione dei movimenti, senso-percezione, ecc.
In questa chiave l’allenamento mentale, la conoscenza di sé, delle proprie caratteristiche di personalità, è rilevante sul piano degli apprendimenti e su quello del passaggio – critico per l’amatore di buon livello – da un gesto tecnico efficace, cioè in grado di raggiungere un certo obiettivo, ad un gesto tecnico efficiente, cioè economico.
Domande come: qual è la motivazione che sostiene il mio impegno? Per quali finalità e obiettivi? Quali sono le mie strategie di attivazione? Sono sopra o sotto-attivato? Com’è la mia attenzione, so focalizzare in modo conveniente? Il mio linguaggio interiore, è positivo o negativo? Sostiene il mio senso di efficacia? Come colloco l’errore, come lo gestisco? Come gestisco la rabbia, la frustrazione? ecc. sono domande alle quali non solo l’atleta, ma anche l’amatore di buon livello può e deve dare delle risposte.
In specie il linguaggio interiore (self-talk) ha una grossa rilevanza sul piano dell’autoefficacia percepita e l’autocritica, così frequente in noi adulti, non è buona alleata degli apprendimenti. Frasi come non riesco, non sono capace, sono un disastro, ho paura e simili, vengono dette “frasi parassite”, proprio perché drenano energie e risorse importanti in modo non costruttivo.
Il linguaggio, quindi, ha una funzione non solo “descrittiva”, ma “costruttiva” e va quindi rimodulato in considerazione del fatto che attiva, o disattiva, sia sul piano emotivo che cognitivo, risorse attuali e potenzialità.
Enrico Clementi – Educatore, Formatore, Consulente e trainer educativo in ambiente sportivo
Per info, contatti, attività di coaching e formative: enricoclementi017@gmail.com