Dalla Streif a Belluno. Inseguendo Franz Klammer
Ai più attenti lettori di Scimagazine non sarà sfuggita una notizia riportata sul numero di marzo, nella sezione White News, la rubrica nella quale diamo conto di tutto ciò che ruota attorno all’attualità della neve senza dimenticare qualche pillola del glorioso passato del nostro sport preferito.
Bene, in quel frangente si riportava la curiosità di un film attualmente in produzione, che ripercorre le gesta del grande discesista Franz Klammer. Si sa che gli austriaci venerano lo sci almeno quanto noi italiani consideriamo il calcio lo sport nazionale per eccellenza. Così, se da noi Francesco Totti spopola in serie tv e film biografici, Kaiser Franz, vincitore di 25 discese libere di Coppa, oro olimpico a Innsbruck ‘76, atleta plurimedagliato ai mondiali di Sankt Moritz ‘74, non poteva certo rimanere indietro nella corsa all’Oscar dello sport di celluloide. Sicuramente Klammer e la sua carriera meritano un film che si preannuncia spettacolare, almeno come Streif. One Hell of a Ride, del 2014, pellicola imperdibile per chi ama la discesa libera.
La notizia tuttavia non è questa, o meglio, non è solo questa. Attorno al film si è verificato un fatto curioso. La coproduzione carinziana e tirolese dopo aver girato in lungo e in largo Bad Kleinkirchheim, patria sportiva di Franz, Fresach, il paese natale, dopo essersi spinti a Kitzbühel, a Lech, a Bad Gastein, a Ischgl, a Saalbach, insomma in ogni tempio dello splendido panorama alpino austriaco, hanno scoperto un’amara verità. Dei mitici C4 prima e seconda serie, dei Marker M4, degli scarponi Dynafit, dei caschi rossi con striscia bianca centrale marchiati dall’aquila bicipite, delle tute rosse o gialle, dei primi bastoncini ricurvi, non c’era traccia in tutta la Mitteleuropa. Così come mancavano gli Spalding Alfa 450 Squadra Corse con attacchi Salomon, i Blizzard a rombi, i Rossignol 550 con attacchi Look e tutto il materiale che gli avversari di Klammer, come Bernhard Russi, Roland Collombin, fino ai nostri Herbert Plank e Gustavo Thoeni, sfoggiavano nelle discese che li hanno resi celebri. Un patrimonio di attrezzatura e di tecnologia svanito nel nulla, o difficilissimo da recuperare.
Gli austriaci non sono gente che si perde d’animo, hanno iniziato a scandagliare il web, scoprendo che da noi, in Italia, c’è ancora chi dedica le proprie energie al recupero storico, alla memoria del mezzo tecnico, alla conservazione di opere d’arte industriali e talvolta artigianali che sono state la colonna portante dello sci,
La notizia sta tutta qui. Ed è una bella notizia. Sono tanti i Peter Pan brizzolati che non vogliono abbandonare sogni e desideri della gioventù. Che pezzo dopo pezzo edificano quello che nell’era dello sci diritto sarebbe stato il Paradiso. Potremmo definirli collezionisti, ma il sostantivo rischia di essere riduttivo. Preferiamo considerarli operatori culturali, perché a loro si deve un’opera di testimonianza, che è vera cultura della montagna.
Iniziano tutti per pura passione, occupando il garage di casa, cantine e soffitte, poi lo spazio non basta più, il gioco si fa duro, il morbo dell’accumulo si fa sempre più intenso e in un attimo si passa a voler condividere questo paese dei balocchi. E allora nascono veri e propri musei che meritano una visita e qualche lacrimuccia di noi nostalgici.
Tre amici di Belluno si sono dati il bel nome di Salvasci e hanno messo in piedi il “Louvre degli sciatori dalla memoria lunga”, gli Uffizi del legno, del cuoio e della fibroplastica. C’è tutta la storia dello sci dilettantistico e agonistico, scovato ovunque. Attrezzatura spesso regalata da appassionati altrettanto generosi, cercata con la costanza del segugio e restaurata con amore e tanto olio di gomito.
Tutto per semplice piacere, per affetto incondizionato del nostro fantastico sport. Non c’è business, non c’è guadagno, se mai costi, in questo gioco che accumuna Salvasci ai tanti musei sorti sul nostro territorio. C’è il piacere della condivisione e dello scambio, dietro a questo progetto. E a chi se non a loro poteva rivolgersi la casa produttrice del film? Vale la pena dire un grazie agli ultimi romantici della lamina arrugginita, perché senza di loro lo sci sarebbe un po’ più povero.
E allora sapete che vi dico? Prima di buttare gli sci in legno del nonno, gli scarponi che vi hanno fatto gemere in gioventù, fate un giro su Facebook e su Internet, troverete dimore dove saranno al sicuro, case d’accoglienza che sapranno dar loro una degna pensione. E dove potranno ancora raccontare magnifiche storie di sci.
Luca Steffenoni