Gianluca Vacchi: “Sugli sci ero più forte di Tomba e Ghedina”
Il famoso influencer Gianluca Vacchi, 52enne nativo di Bologna, celebre per la sua ricchezza ostentata, i suoi mille mestieri, tra i quali l’imprenditore in molte aziende, in primis quella fondata da suo padre, la IMA S.p.A., il deejay, il musicista e l’attore, fidanzato con la 23enne modella venezuelana Sharon Fonseca, dalla quale lo scorso ottobre ha avuto la piccola Blu Jerusalema, famoso anche per i suoi eccessi e le tante amanti famose che gli sono state attribuite, per le sue controversie giudiziarie e per le sue amicizie rinnegate, tra le quali quella col guru di Instagram Mirko Scarcella, ha quasi 20 milioni di follower su Instagram. Ma forse non tutti sanno che, da ragazzino, Vacchi era uno sciatore fortissimo.
Lo ha rivelato Kristian Ghedina, in un’intervista ad Aldo Cazzullo sul Corriere della Sera: “Io e Tomba gareggiavamo insieme a Gianluca Vacchi e lui ci batteva regolarmente. Per fortuna poi ha smesso di sciare”. Lo ha confermato lo stesso Vacchi sempre al Corriere: “Sì, è tutto vero e il fatto che Kristian lo abbia ricordato sul Corriere mi ha proprio fatto piacere: fino a 17 anni sciavo più forte di Ghedina e Tomba. Ma non so se sarei stato un campione: il talento da solo non basta e sarei stato probabilmente penalizzato dal mio carattere particolarmente sensibile. Quando hai un cancelletto e oltre a quello un muro di ghiaccio devi essere un carrarmato, come Alberto, o un matto vero come Kristian”.
«Intorno ai 17 anni i miei sci tendevano ad andare un po’ più avanti rispetto ai loro – continua Vacchi -. Ma avevamo abilità diverse: nessuno come Kristian riusciva a far scorrere gli sci, non aveva paura di niente al mondo, era matto come un cavallo, se gli dicevi che doveva andare a 100 all’ora e al termine c’era un roccia da schivare, lui si lanciava e via… aveva una capacità acrobatica da paura. Io ho vinto un campionato di slalom gigante, in discesa avevo più paura, non avevo una grande attrazione per quella specialità, un po’ come Alberto Tomba, il più grande sciatore vivente mai esistito che però non faceva discesa. Diceva che era la mamma a non fargliela fare, aveva paura”.
Poi racconta un aneddoto sul “matto come un cavallo” Ghedo: “Una volta eravamo in camera insieme in ritiro e di notte non si trovava più. Lo abbiamo trovato in pigiama, con le scarpe da ginnastica e parecchi gradi sotto lo zero, che stava facendo prove di equilibrio saltando da un sasso all’altro sul fiume. Un’altra volta a Kitzbuehel, sulla Mausefalle, si era infortunato rompendosi qualche vertebra ma la sera aveva un’appuntamento importante e aveva fatto finta di nulla. Andò lo stesso a ballare”.
“Lo sport e i ragazzi, poi diventati campioni, che ho conosciuto in quel periodo mi hanno lasciato uno spirito di squadra che non morirà mai – ricorda l’influencer -. Non ci siamo mai intralciati perché eravamo bravi in cose diverse: e anche se è vero che andavo più forte di loro, dico molto onestamente che non sarei arrivato ai loro livelli perché a un certo punto sarebbe dovuta subentrare una determinazione sciistica che non avevo. Durante l’adolescenza ho sentito il richiamo dell’uomo d’affari e soprattutto volevo capire come mio padre riuscisse a far sì che io e mia madre potessimo permetterci di passare l’inverno intero a Cortina… volevo diventare anche io come lui”.
E’ proprio a Cortina d’Ampezzo che Vacchi ha passato la sua infanzia e ha sciato insieme a Tomba, insieme al quale è ritratto in una foto quand’erano bambini, e a Ghedina: “Mio padre mi ha messo gli sci ai piedi a 4 anni e ha subito capito che c’era della stoffa. Così mi sono trasferito a vivere in montagna, dove ho fatto elementari, medie e anche il primo anno di superiori. Mi ricordo che alle medie avevo avuto una specie di dispensa scolastica e mia madre, donna molto preparata, era stata incaricata di farmi da precettore. Erano anni entusiasmanti: ho ancora la pagina di un giornale che parlava di un ragazzino di Castenaso come del nuovo Thoeni… ero io”.
Il suo rapporto con lo sci: “Ero proprio fanatico, una volta ho rischiato la decapitazione. Mi spiego meglio: per seguire i miei idoli, mio padre mi portò a vedere gli allenamenti della valanga azzurra a Vipiteno. Per seguire Gustav Thoeni che stava facendo il tracciato io sciavo senza guardare la pista e ad un certo punto mi sono trovato contro una transenna di plastica all’altezza del collo, che mi ha tagliato la gola, con relativi fiumi di sangue. Però nessuno della valanga azzurra ha raggiunto la grandezza di Tomba. Alberto ha trasformato la tifoseria dello sci: prima non esisteva, lui invece ha creato un tifo quasi calcistico. Quando scendeva dalle piste Alberto, anche le banche si fermavano per mezz’ora: lui era talmente sicuro del fatto suo che esultava al traguardo prima di vedere il tempo, perché aveva la certezza che se arrivava in fondo, sciando come sciava lui, non c’era dubbio che aveva la vittoria in tasca”.
“Cosa mi hanno lasciato quegli anni sugli sci? Tenacia, disciplina e molta onestà. Chi è uno sportivo ha in cima ai suoi valori la lealtà e un grosso senso del sacrificio: vedevo i miei amici andare in vacanza al mare, io e Kristian alle 6 di mattina eravamo già su un ghiacciaio e alle 9 di sera già in camera. Certo, mezz’ora dopo, in un modo o nell’altro da quella stanza uscivamo. Se mia figlia tra qualche anno mi chiedesse di sciare? Le direi di sì, ma la scorterei io. Oggi con l’attrezzatura che esiste tutti credono di poter affrontare una pista, c’è molta presunzione e dunque parecchio pericolo sulla neve. Forse preferirei che mi dicesse che vuole suonare il pianoforte”, conclude Vacchi.